domenica 29 giugno 2014

Il Rosso non ha un bel carattere, ne è perfettamente consapevole, ed è solito definirlo "di merda". Uno dei pochi lati positivi è che quando fa una promessa a qualcuno poi mantiene sempre la sua parola. Di conseguenza, è molto raro che si lasci sfuggire un giuramento di qualsiasi tipo. Ci sono però alcune eccezioni.
Quando i suoi problemi con il sonno si sono aggravati al punto da non poter essere più ignorati, ma non a sufficienza da portarlo ad affrontare di petto i motivi che li avevano scatenati, ha promesso a Jordan che almeno un giorno a settimana, si sarebbe assicurato un'intera notte di sonno, utilizzando dei sonniferi.

Il 27 giugno, grosso modo alle sei del pomeriggio ha spento il Cortex Pad, si è messo a letto, ha portato alla bocca due pastiglie e le ha mandate giù con un sorso di succo di frutta. Si tratta di medicinali erroneamente definiti sonniferi, si limitano infatti a causare in chi li assume solo un certo grado di sonnolenza. Farmaci blandi, ma più che sufficienti per far cadere il Rosso in un sonno profondo, circa trenta secondi dopo aver appoggiato il capo sul cuscino. Durante tutta la settimana, è riuscito a conquistarsi sei o sette ore di riposo.

Si risveglia in un letto ancora vuoto, eccezion fatta per lui, assalito da una familiare sensazione di disorientamento "dove sono, che ore sono, che giorno è", ma con la testa miracolosamente sgombra e nessun fastidio agli occhi. Ormai un risveglio sereno è l'eccezione, non certamente la regola. Registra mentalmente i guaiti di Tallio, senza capire a causa di cosa si stia lamentando.
Scosta di lato il lenzuolo, intrecciando le dita ed allungando le braccia in avanti, stiracchiandosi pigramente. Come sempre gli capita, quando riesce a riposarsi più del solito, è di buon umore. Sposta lo sguardo verso la sveglia, e rimane imbambolato per una manciata di secondi. L'orologio segna le quattro del pomeriggio. Ancora non del tutto sveglio, viene colto da un pensiero assurdo, ma che sulle prime gli risulta quasi credibile. Si è addormentato, ma il tempo ha iniziato a scorrere all'indietro, lasciandolo ad affrontare una giornata di ventisei ore, invece delle canoniche ventiquattro.
Cosa sia successo veramente, lo comprende subito dopo. Ha dormito quasi per un giorno intero.


"Cazzo.."

Scende dal letto, ignorando il proprio C-Pad, ed occupandosi delle incombenze tipiche di chi abbia passato quasi un giorno intero addormentato, e condivida la casa con due animali. Una, non molto rapida, sosta in bagno per poi badare a Tallio ed a Tac, dandogli da mangiare e sbarazzandosi dei loro bisogni. Degli abituali occupanti di casa, manca una persona, ma la donna è più randagia del cane e del gatto messi assieme, quindi non si preoccupa eccessivamente.

Fresco di doccia, con un asciugamano cinto in vita e sbocconcellando un dolcetto preso a casa dalla credenza torna a letto e, finalmente, accende il Cortex. Da quando lo ha spento é passato quasi un giorno intero.

Fa giusto in tempo a sdraiarsi nuovamente, prima che il dispositivo inizi a vibrare, avvisandolo dell'arrivo di una comunicazione. Recupera l'auricolare, se lo porta all'orecchio, rispondendo senza neanche guardare sullo schermo chi lo chiamando. Non riesce nemmeno a dire "Pronto"


"DOVE DIAVOLO ERI FINITO, PAZZO INCOSCIENTE??"

Le grida quasi gli sfondano un timpano, ed istintivamente chiude la chiamata. Due pensieri si fanno strada nella sua mente. La voce di quell'indemoniata assomigliava a quella di sua madre, il primo. Nonostante il modo assurdo in cui gli si è rivolta, forse era davvero sua madre.
Il Cortex ricomincia a vibrare, e questa volta il medico controlla davvero chi ci sia dall'altro capo. È davvero Gabrielle Shaw.


"Mamma? Si può sapere che diamine.."

"NON TI DEVI PERMETTERE DI RIAGGANCIARE! HAI UN'IDEA DI COSA MI HAI FATTO PASSARE?"

Lontano di sottofondo sente la voce di suo padre. Non comprende cosa stia dicendo, ma i toni sembrano meno concitati. Il Rosso è comunque decisamente stranito, sua madre è sicuramente la più emotiva della famiglia, ma non l'ha mai sentita in quello stato.


"Ma che è successo? Si può sapere?"


"IO voglio sapere cosa sia successo! Dove sei stato? Perché avevi il Cortex spento? Sei in ospedale? Ti hanno ferito? Ho iniziato a chiamarti appena ho sentito la notizia. Parto subito e vengo lì!"

Eddie viene investito dalle preoccupazioni materne, che hanno la stessa violenza di una frana. Impiega qualche attimo a focalizzare la sua attenzione sui dettagli.

"La notizia? Ma di cosa stai parlando?"

"Ma come? Non sei a Capital City? Non la guardi la Holo Tv? E non mi hai detto come stai!"

"Sto bene mamma, aspetta un attimo."

Gabrielle non aspetta, ovviamente, ed il medico è costretto a togliersi l'auricolare dall'orecchio. Lo poggia sul materasso, ma continua a sentire distintamente la voce della donna che parla incessantemente. Il medico non guarda spesso la televisione, ed infatti va a recuperare il telecomando da un cassetto. Rapidamente, passa da un canale di news ad un altro.


"...Esplosione alle Terrazze Verdi..."
"...Non abbiamo ancora un conto preciso delle vittime ma..."
" ...Centinaia di morti..."
"...Incendi protrattisi per ore..."

"Oh merda.."

Sembra essersi quasi dimenticato di aver una chiamata in corsa con sua madre. Se ne ricorda solo quando tocca l'auricolare con la mano destra. Non si è resa conto di aver parlato con il nulla fino a quel momento.


"...Insomma mi hai capito? Quando torni a casa?"

"Senti mamma, non lo so. Forse riesco a passare per la tua festa, ma questa storia é grossa e.."

"Ma hai sentito una parola di quello che ho detto finora? Devi tornare qui, per sempre?"

"Eh?

"Capital City non è un posto sicuro, non posso continuare ad avere un colpo al cuore ogni volta che cerco gli aggiornamenti di Horyzon."

"Andiamo, non vivo mica nel 'Rim."

"Serial Killer che oltre ad uccidere delle persone scatenano tumulti, suicidi di massa, bambine scomparse ed ora questo. È peggio del fottuto 'Rim. Basta, devi tornare a casa. Adesso!"

"Non ho sei anni mamma, non puoi mandarmi in camera in castigo. E poi ho un lavoro, mi hanno appena assunto in pianta stabile."

"Sei un medico, non un giornalista. Troverai sicuramente un posto anche qui."

Il Rosso non è famoso per la sua pazienza, non ne ha una gran scorta. Quello che lo tiene lontano dai guai è la sua capacità di sfruttarla fino all'ultima stilla, e l'abilità di rendersi conto per tempo, quando è ormai sul punto di consumarla del tutto. Tra l'altro Gabrielle l' ha sconvolto. Quel "fottuto" non sarà la prima parolaccia pronunciata in tutta la vita, ma difficilmente il conto totale potrebbe andare oltre le dieci.


"Mi passi papà?"

"Non vedo perché, qualunque cosa.."

"Mi passi papà, per favore?"


Sente dapprima, in sottofondo, il conciliabolo tra i due e subito dopo, finalmente, la voce calma di Steven Shaw.


"Senti, mi dispiace se vi ho fatto preoccupare, ma ho passato un paio di notti in bianco, ieri ho preso qualcosa per dormire e... Beh mi sono svegliato adesso"



Seguono cinque o sei secondi di silenzio, in cui il padre analizza attentamente le parole del figlio. Pare prenderle per buone, probabilmente persuaso di come, se davvero Eddie avesse voluto mentirgli, avrebbe trovato una scusa migliore.


"Ho capito. L'importante per noi, è che tu stia bene."

"Certo, immagino. Senti, io ora devo per forza passare in ufficio. Pensi che la mamma si calmerà? Non posso e non voglio, mollare tutto."

"Dalle un paio di ore, adesso sa che non ti è successo nulla. Le parlerò."

"Va bene, grazie. Ora chiudo però, devo fare qualche telefonata. Ciao papà."

"A presto Edward."

Il Rosso chiude la comunicazione, senza però sfilare l'auricolare, rialza lo sguardo, tornando ad ascoltare le notizie alla Holo Tv.


"Merda."

Inizia velocemente a vestirsi, pescando vestiti a caso dall'armadio, facendo le sue telefonate di rito.









sabato 7 giugno 2014

Il 28 aprile 2517, è stato un giorno felice per il giovane medico, quello in cui si è venuta a creare la sua famiglia. Alle 10 del mattino, dopo un'infinita serie di intoppi burocratici, il giudice Piper ha ufficializzato la sua richiesta di adozione per la piccola Jane. Due ore più tardi, con una settimana di anticipo sulla data prefissata, Jordan ha dato alla luce il loro primogenito.
In serata, l'Anagrafe di Capital City ha dovuto registrare due nuove cittadini. Jane Shaw, di anni tredici, ed il neonato Matthew Steven Shaw.
L'anno successivo, il 28 aprile viene festeggiato con un pic-nic all'Unification Park. Otto anni più tardi, quella che ormai si è trasformata in una vera e propria tradizione, si è ripetuta nuovamente.

Jane Shaw
(Age 21)
Matthew Steven Shaw
(Age 8)

"Papà? Perché la mamma ti chiama Shaw, alcune volte?"

Matthew è la perfetta fusione delle caratteristiche fisiche di entrambi i suoi genitori. Struttura fisica esile, carnagione pallida, una folta zazzera di capelli biondi, occhi azzurri ed una spruzzata di lentiggini sul volto. Caratterialmente, il discorso cambia, è allegro ed estroverso, qualcosa di estraneo tanto ad Eddie, quanto a Jordan. Ha iniziato a frequentare la scuola da un paio di anni, con buoni risultati, sebbene sia molto più incline al gioco che allo studio. Da qualche mese è entrato nel periodo delle domande. Ha interrogativi su ogni cosa e li rivolge tanto ai suoi genitori, quanto alla sorella.


"Perché tua madre ha la testa dura, e quando si fissa su una cosa, poi impiega davvero tanto tempo prima di cambiare idea."


La replica coglie Jordan con la bocca piena. Come una bambina si è appropriata subito dei dolci, lasciando da parte i tramezzini. Riesce faticosamente ad ingoiare un colossale boccone di cioccolato, prima di sillabare un chiarissimo "Fanculo Shaw", continuando a sorridere divertita.
Matthew si perde l'abituale sfoggio di finezza di sua madre, il garbato ridacchiare di Jane fa comprendere come l'abbia notato eccome.
Il Rosso l'ha incontrata, dodicenne, in ospedale dove era ricoverata dopo aver assistito al suicidio di nove persone, tra cui i suoi genitori ed i due fratelli. Causa scatenante di quella follia, i vaneggiamenti sull' Apocalisse di un certo "Padre" Collins.
Il fatto che abbia iniziato ad interessarsi a lei, vedendo il modo lucido e razionale con cui si rapportava a quanto accaduto, dice molto sul carattere del medico, ma nulla di realmente positivo.
Pur non brillando per empatia, grazie anche all'aiuto di Jordan, è riuscito con molta fatica a restituirle quel poco di infanzia che il trauma subito, ed un intelligenza troppo viva ed acuta, le avevano sottratto. Caratterialmente assomiglia incredibilmente al Rosso, ed ha seguito le sue "orme" iscrivendosi all'Università in medicina. Il terzo anno di corsi, ha avuto una media di due punti superiore a quella del padre, causandogli un misto di gioia e lieve gelosia.


"Fa sempre così. Se ne esce con domande del genere. L'altro giorno lo stavo riaccompagnando a casa da scuola, ed abbiamo incontrato Terry, una mia compagna di corso.. L'ha guardata, si è presentato, e le ha chiesto con chi dormisse la notte."

Eddie quasi si strozza con il bicchiere di succo di frutta che sta bevendo, Jordan accoglie la cosa fin troppo normalmente, arrivando addirittura ad annuire. Alla fine scoppiano a ridere tutti e tre, lasciando Matthew stupito. Non comprende cosa ci fosse di divertente in quanto raccontato dalla sorella. Ad ogni modo, non si rassegna e pone un'altra domanda.


"Papà? Perché la mamma ti ha puntato contro una pistola, la prima volta che vi siete visti?"

Questa volta il Rosso si strozza davvero, ed inizia a tossire, riuscendo ad evitare per un pelo, di sputacchiare il succo sul telo. Lancia poi a Jordan un'occhiata non delle più amichevoli. Jane deve aver notato anche questo, perché si mette in mezzo.


"Matty, è una bella giornata, perché non andiamo a giocare con Tallio? Hai portato la sua palla?"


Matthew reagisce alla proposta con uno strilletto di gioia, schizzando in piedi.


"Sì, sì. Non ci giochiamo da quando zia Rebecca è passata a trovarci".


Tallio, il cane del medico e zio putativo del biondino, ha quasi dieci anni ormai. L'abituale indolenza è diventata semplice stanchezza, ma qualche corsa dietro ad un pallone ancora non gli dispiace. In due o tre minuti, il terzetto si allontana, lasciando Eddie e Jordan da soli.


"Ti sembrava il caso di dirgli una cosa del genere, Jay?"

"Lo sai che non riesco a raccontargli delle storie. Ho provato a divagare, ma insisteva. E poi dov'è il problema. È vero."

"Mi fai una promessa?"

"Va bene."

"Quando ti chiederà come nascono i bambini, per piacere, non dirgli niente e mandalo da me."


La risata cristallina della donna gli riempie le orecchie.


"Va bene Shaw, promesso. Sono belli insieme, non è vero?"


Il medico da le spalle al punto in cui stanno giocando, fa quindi per voltarsi quando sente un richiamo.


"Papà! Attento alla palla...."


Il Rosso riapre gli occhi, accolto dalla familiare sensazione di disorientamento, successiva al risveglio. Sbatte le palpebre più volte, prima di mettere a fuoco dove si trovi. È in viaggio verso Roanoke, per un servizio. È il 2516 e si era semplicemente addormentato.
Incrocia lo sguardo con la donna seduta davanti a se, che lo guarda perplesso. Il medico ha gli occhi arrossati, il viso pallido e le occhiaie. Non si sorprenderebbe se venisse scambiato per un drogato.


"Buongiorno.."

"Salve a lei."


Le risponde con la voce roca, ed ancora impastata dal sonno.


"Sorrideva sa?"

"Come ha detto, scusi?"

"Mentre dormiva dico, stava sorridendo. Ha sognato qualcosa di bello?"


È troppo assonnato, per reagire freddamente all'eccessiva, almeno per lui, curiosità della donna. Sembra invece riflettere seriamente tanto sulla domanda, quanto sugli ultimi brandelli del sogno non ancora andati persi.


"Non saprei. Mi scusi comunque, non dormo bene ultimamente."


Deve essere un qualche tipo di congedo, perché si sistema meglio sul suo sedile, chiudendo nuovamente gli occhi. È fortunato, scivola nuovamente nel sonno, ma un ultimo pensiero cosciente fa ancora capolino nella sua mente stanca.


"Devo comprarle degli altri anticoncezionali. Per sicurezza."



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domenica 1 giugno 2014

Il Rosso apre gli occhi non sorprendendosi, nel trovarli umidi di lacrime. Non ha ancora capito se dipenda da incubi, di cui comunque non serba ricordo, o dai risvegli troppo prematuri. Volta lentamente il capo, cercando di inquadrare la sveglia. Dapprima vede soltanto un'ombra rossa, sfocata. Impiega qualche secondo, prima di riuscire a leggere l'ora. Le quattro e mezza del mattino. Ha dormito meno di un'ora. Per amor di precisione, sono passati cinquantasette minuti, dall'ultima volta in cui ha guardato la sveglia.
Avverte con qualche attimo di ritardo il peso del familiare fagotto biondo che gli dorme addosso. Gli ha appoggiato un braccio, ornato da un braccialetto d'argento, contro il petto, e la punta del suo naso gli accarezza la spalla. Normalmente è una sensazione che lo rasserena, altre volte, e quella notte gli capita proprio quello, gelosia ed invidia lo pungono come degli insetti molesti. Perché soltanto a lui, è negato il piacere di una notte di riposo?.
Dopo un lungo sospiro, resiste alla tentazione infantile di svegliarla. Le prende il polso tra le dita, delicatamente, e dopo averlo alzato, scivola fuori dalla sua presa. La testa di Jordan ha ora un cuscino, come unico sostegno, ma non sembra rendersi conto del cambiamento. Il suo sonno profondo, e per una volta sereno, è un nuovo morso, tanto doloroso, quanto l'immediato senso di colpa. Quello che gli succede, non lo può certo imputare a lei.
Una volta alzato, si china verso di lei, sistemandole una ciocca bionda dietro l'orecchio, in un gesto che sfocia in una mezza carezza. In risposta, ottiene un mugugno dolce, simile a delle fusa.
Sgattaiola via dalla camera da letto in silenzio, muovendosi in punta di piedi e chiudendo la porta dietro di se. Senso di colpa o meno, il nervosismo gli scorre sottopelle, mentre si guarda attorno alla ricerca di qualcosa da fare. Una doccia lo calmerebbe, ma con ogni probabilità sveglierebbe Jordan. Le guance sono macchiate da un'ombra rossiccia di barba, ma tagliandosela farebbe comunque troppo rumore. Gira come un'anima in pena per il salotto, fino a quando la sua mente stanca non si sofferma sull'opzione più facilmente percorribile. Si cambia lì, direttamente in salotto, recuperando dall'armadio un paio di pantaloncini neri, e la felpa rossa del collegio, che non indossa da diversi mesi. Calza delle scarpe sportive, seduto per terra, vicino alla cesta in vimini dove riposa Tallio, una volta allacciate, accarezza la testa al cane. Da quando lo ha colpito, durante uno scatto d'ira, si é comportato come un padre che cerca di ricomprare l'affetto del proprio bambino. Coccole, moine e regali. Senza raccogliere il minimo risultato però, anche quella notte, l'huskey rimane sdraiato senza nemmeno alzare il muso.


"Ehi, vuoi venire fuori con me? Mmnh?"

Nessuna reazione, nemmeno un vago scodinzolare, od un basso guaito. Nulla. Viene nuovamente assalito, in egual misura da rancore e rimorso, ed è animato da quelle emozioni quando, una volta recuperate le chiavi, si fionda fuori di casa. Si trattiene a stento, da sbattersi la porta alle spalle.

Il Rosso abita da cinque anni a Capital City, ma ha iniziato a frequentare l'Unification Park soltanto di recente, per correre. All'inizio, cercava soltanto un modo per stancarsi abbastanza da essere costretto a dormire, l'esperimento non gli ha fatto guadagnare neanche un solo minuto di sonno, ma alla lunga, si è rivelato un metodo meno autolesionista dei pugni contro il muro, per sfogare il proprio nervosismo.
Il suo percorso preferito gira attorno ad uno dei due laghetti artificiali, ampio abbastanza per non annoiarlo, almeno all'inizio. Alla lunga, normalmente, si distrae, correndo meccanicamente e sovrappensiero.
Quella notte, il primo giro è lento, riscalda i muscoli cercando di non aggravare il mal di testa, costante, che gli pulsa contro la tempia.
Al secondo, allunga la falcata, l'andatura è meno contratta.
Quando affronta il terzo giro, il respiro è affannoso, le guance arrossate. Non sta più realmente correndo, pesta con i piedi sulla pista, come se avesse diavoli e demoni alle sue spalle. L'emicrania rimbomba, avverte una pugnalata alla milza ad ogni passo, ma non si ferma. Non ci sono altri mattinieri, o nottambuli, attorno a lui. Ha la pista tutta per se, e sembra intenzionato a correre fino a quando non stramazzerà a terra, come un cavallo zoppo.
Ed è proprio la fine che rischia di fare, il piede destro gli slitta e perde l'equilibrio per un attimo. Lo recupera all'ultimo facendo qualche altro passo, sgraziato come un volatile abbattuto da un cecchino, fino a quando non si ferma del tutto. Le gambe praticamente piantate  per terra, rigide per l'acido lattico. È curvo in avanti, non riesce a respirare soltanto con il naso, è per questo ha la bocca spalancata. Le mani che tremano, ed i crampi allo stomaco, gli ricordano la fiala di Dexepam che avrebbe dovuto bere, e che è ancora ad aspettarlo sul comodino.


"Non sono un medico, ma non hai un bell'aspetto, giovanotto."

La voce proviene da qualche parte alla sua destra. Non riesce ancora a muoversi, ed impiega qualche secondo, prima di riuscire ad inquadrare la persona che gli ha appena rivolto la parola. Settant'anni abbondanti, pochi ciuffi di capelli bianchi ai lati della testa, un volto tondo e simpatico, con le guance ed il naso rubizzi di chi abbia alzato il gomito spesso e volentieri. L'uomo è seduto su una panchina ed ha le mani appoggiate sul proprio bastone. Gli è vagamente familiare, non è la prima volta che lo incrocia al parco. Hanno gli stessi orari impossibili.


"Sto.. Sto bene. Non... Si preoccupi."



Il volto del Rosso è impallidito di colpo, facendo sparire le poche lentiggini e rendendo le occhiaie ancora più vistose. Ha le labbra secche, ma il respiro si sta facendo un poco meno affannoso.
Il vecchietto, scivola di lato sulla panca, tradendo un certo dolore alle ginocchia, facendogli cenno di accomodarsi. Il Rosso, valuta l'invito con attenzione, ed alla fine accetta. Si avvicina alla panca con le gambe ancora imballate, ma riesce a sedersi con un minimo di dignità, senza lasciarcisi cadere sopra. Appoggia le mani sulle ginocchia, così da rendere il tremore meno evidente.


"Ti vedo spesso gironzolare qui in giro, ma questa volta pensavo che saresti crollato a terra da un momento all'altro."

"Sto bene, grazie dell'interessamento."


È ancora un po' sfiatato, e non riesce ad imprimere nel tono di voce quella punta di fastidio, che gli causano le attenzioni del vecchio.

"Corri sempre così tardi. Quando la notte sta finendo, ma non è ancora giorno. Qualcuno le ha definite le ore in cui l'uomo è veramente da solo."


Il Rosso alza gli occhi al cielo. Chiacchierone, anziano e con propensione alla filosofia spicciola. Se non avesse due blocchi di cemento al posto delle gambe, e la sensazione, fondata, di non riuscire a mettere in fila più di un paio di passi senza dare di stomaco a causa degli effetti collaterali del suo up genetico, non placati dal Dexepam, se ne andrebbe, dopo aver smozzicato un saluto qualsiasi.


"Figliolo, a quest'ora bisognerebbe essere a casa, a letto con una bella ragazza. Che ci fai qui?"

"E lei invece? Come mai non segue il suo stesso, saggio, consiglio?"


La risposta gli esce più acida, e tagliente, di quanto non fosse nelle sue intenzioni. Il vecchietto, non ne viene minimamente toccato.


"Perché alla mia età il letto risulta sempre scomodo, e la mia bella ragazza è venuta a mancare quattro anni fa."

"Capisco."

"Credo che tu volessi dire condoglianze, non è vero?"

"Oh sì certo, condoglianze."


Gliele rivolge con qualche attimo di ritardo, piegando di poco il capo, e notando soltanto adesso, una fede dorata all'anulare sinistro.


"Invecchiando cala la vista, si perde qualche centimetro in altezza, si riduce l'intervallo tra una puntata e l'altra al gabinetto, ma soprattutto si dorme molto di meno. Tu sei un po' troppo giovane per avere problemi con il sonno."


Il Rosso non pare sorpreso dalla corretta intuizione del vecchio. L'ha sempre visto correre di notte, ed ha sul volto occhiaie che solo un cieco potrebbe non notare.


"Hai qualche problema per caso, figliolo?"


Il giovane arriccia la punta del naso, infastidito, prima di replicare.


"Perché me lo chiede? Le interessa davvero?"

"Sii gentile, manca ancora molto prima che sorga il sole. Due chiacchiere non hanno mai ucciso nessuno, no? Allora, che cosa ti turba?"

"Nulla, va tutto bene. Una mia amica ha avuto un problema.. Beh un problema serio, ma ne è uscita."

"Oh ottimo, ed allora che cosa ti tiene sveglio?"


Un lungo sospiro abbandona le labbra del Rosso, facendogli curvare la postura un poco di più.


"Quello che penso, è troppo egoista e sbagliato, anche per me."

"Perché non me ne parli, allora?"

"Come è morta, sua moglie?"

Si accorge di cosa ha domandato, e del tono di voce usato, troppo tardi. Il tatto di una mandria di bufali. La bionda, ancora addormentata, potrebbe forse gradire, il medico ha il buonsenso di vergognarsene un poco.


"Mi scusi, sono mortificato."


Il vecchio continua a guardare davanti a se, rendendo complicato al medico, capire se se la sia presa, o meno. Rimane in silenzio per qualche secondo, stringendo più forte il suo bastone.

"Un malanno al cuore, non l'abbiamo preso in tempo."

"La amava molto?"

"La amo ancora adesso, figliolo."


È questa volta il turno del Rosso di tacere. Labbra serrate ed il palmo della mano poggiato contro la bocca dello stomaco, ha un'altra domanda sulla punta della lingua, è evidente da come guarda di sottecchi il vecchio. Alla fine, dopo aver fatto trenta, si concede anche il trentuno.


"Se qualcun altro che conosce, od a cui è legato, fosse vittima della stessa malattia, ma riuscissero a curarla, cosa proverebbe? Sarebbe contento? Od infuriato perché a salvarsi è stata questa persona e non loro... Volevo dire e non sua moglie?"


Il vecchio si volta verso di lui, per la prima volta. Gli occhi verdi, arrossati come quelli del medico, lo osservano per una decina di secondi, resi opachi da quella che potrebbe essere tristezza. Alla fine gli posa una sulla spalla, forse alla ricerca di un appoggio per rialzarsi. Effettivamente si mette in piedi, a fatica, ma d'altra parte aveva il proprio bastone.


"Accetta un consiglio, da chi è invecchiato così tanto, da aver dovuto necessariamente accumulare un poco di saggezza. Nella vita accadono cose belle e cose brutte. Una persona furba non le misura. Tira avanti godendosi quello che ha, e ricordando con affetto, o gratitudine quello che non ha più. Non deve tenere tutto e calcolarlo come un avaro. Pensi di esserne capace?"

"Non lo so."


Il vecchio gli stringe affettuosamente la spalla, prima di usare nuovamente il suo bastone, come unico sostegno.


"Torna a casa ragazzo. Se hai una persona che ti aspetta, raggiungila. Altrimenti trovala. Spero che la prossima volta che ci rivedremo, sarà con il sole ben alto nel cielo"

"Mi chiamo Edward."

"Ed io William. Ora torna a casa ragazzo. È la scelta più saggia. Buon riposo".


Il vecchio si allontana lentamente, ogni passo ben cadenzato dal rintocco del bastone. Poco prima di sparire oltre un sentiero secondario, si volta verso il Rosso, salutandolo. Viene ricambiato.


"La scelta più sana."


Mormora a sua volta, prima di alzarsi dalla panchina, stiracchiarsi per qualche attimo, e riprendere a correre.