martedì 22 luglio 2014

Uno dei tratti in comune tra il medico e suo padre, oltre ai capelli rossi ed un carattere a dir poco introverso, è la mania per la puntualità. Se Steven Shaw è solito spaccare il secondo, Eddie è ormai ad un passo dalla compulsione vera e propria arrivando ad ogni appuntamento con almeno una decina di minuti di anticipo. Questo, nonostante non sopporti dover aspettare il prossimo. Una delle tante contraddizioni del suo carattere, sebbene non la più grave.

È seduto su una panchina all'esterno dello spazioporto di Capital City, sbocconcellando distrattamente un panino, farcito con qualcosa che dovrebbe avere il sapore di pomodori, innaffiandolo con una bottiglietta d'acqua. Gli occhi azzurri, celati da un paio di occhiali a specchio, spaziano tra l'uscita dello spazioporto ed il proprio Cortex Pad. Dall'uno all'altro, per poi sbuffare. È in ritardo. Come al solito. Il volo è arrivato puntuale, ha controllato, e da più di mezz'ora Nicholas non si fa vedere.

Nicholas Kensington


Se la puntualità del medico è una certezza, il ritardo cronico di suo cugino è una costante. Il Rosso rassegnato recupera il proprio lettore multimediale dalla tasca della giacca, portando gli auricolari alle orecchie, cercando di distrarsi con la musica. Altri cinque minuti, prima che la figura dinoccolata dell'altro faccia capolino all'uscita di uno dei gate. Alza il braccio destro cercando di attirare la sua attenzione, non facendo caso a come gli occhiali da sole e la tinta bionda dei capelli possa rendere difficile all'altro, riconoscerlo. Alla fine è costretto a richiamarlo a voce, facendogli cenno di avvicinarsi.

"Eddie! Brutta persona, da quanto tempo non ci vediamo?"

Un altro aspetto caratteriale che distingue i due è il diverso parere sulle effusioni in pubblico. Nicholas non si fa problemi a buttare a terra la borsa per poi abbracciarlo, il rosso reagisce irrigidendosi come un tronco e picchiettandogli una spalla con la mano destra.

"Sei in ritardo Nicholas."

"Si, lo so. Lo so. Scusa, mi sono fermato a chiacchierare con la mia vicina di posto, ed abbiamo mangiato qualcosa una volta scesi. Ehi! Lo finisci quello?"

Non fa nemmeno in tempo a finire la propria frase, che si avventa sul panino, staccandogli un morso. Il medico nemmeno protesta. Lo ha fatto aspettare per mangiare qualcosa, con una perfetta sconosciuta, e gli frega comunque mezzo tramezzino. Niente di nuovo, Nicholas é uno che prende quello che può. Lo ha sempre fatto ed ormai non cambierà più.


"Beh? Cos'é questa novità? Biondo? Non vorrai farti vedere così al ballo organizzato da zia Gabrielle, vero?"

"Ad essere sincero, l'idea è proprio quella."

"Ma stai scherzando? Dai, darà di matto. Cos'é? Una ripicca per qualcosa?"

"Non sono così infantile, e poi di cosa mai potrei volermi vendicare?"


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"Senti mamma, non è possibile, ho da fare in questi giorni, e non ho tempo da perdere."

"Non perderesti tempo, aiuteresti qualcuno della tua famiglia."

"Semmai un mio consanguineo."

"E dove sarebbe la differenza?"

"Lascia perdere. Comunque davvero, non ho tempo per badare a Nicholas."

"Lo devi solo ospitare per qualche giorno, ed aiutarlo a trovare una casa. Mi sembra una cosa normale."

"Ti faccio presente che io ho fatto tutto da solo. Ed ero al primo anno di università."

"Beh? Vuoi un applauso per questo? Ma soprattutto, hai intenzione di discutere per una cosa così piccola?"

Un lungo sospiro abbandona le labbra sottili del medico, che inizia ad affrontare la questione come un semplice problema matematico. Accettare la richiesta gli causerà un fastidio di tre o quattro giorni al massimo. Rifiutare implicherebbe scatenare almeno un mese di guerra fredda con sua madre. Il male minore è facile da riconoscere. Ha abbastanza buonsenso per rendersi conto quando una partita è persa in partenza.


"Quando hai detto che arriva?"


/////



"Allora? Non sei contento di avermi come coinquilino? Direi almeno due settimane, ci divertiremo cuginetto."

Il pensiero di avere Nicholas in giro per casa sua, per un lasso di tempo superiore a quello di una cena, gli fa scorrere un brivido gelido lungo la schiena.

"Veramente c'é un piccolo cambio di programma. Ti ho prenotato una stanza in albergo, consideralo un regalo di compleanno un poco in anticipo o molto in ritardo. Da domani inizieremo a cercarti una casa in affitto. Conto di sistemarti prima della settimana prossima."

"Ma la zia aveva detto..."

"Si, so cosa aveva detto, ma non puoi stare da me."

"E perché scusa? Dai, non farò casino. Beh non troppo almeno. Ehi, posso badare anche al tuo cane. Come fa Trish"

La sorella di Nicholas, iscritta in medicina, ed una delle tante dog sitter a cui il medico ha sbolognato Tallio quando era troppo impegnato per badargli.

"Non puoi stare da me, in tre saremmo in troppi."

Lascia il cugino prendere atto della cosa, alzando di poco lo sguardo verso il cielo. Plumbeo e con più di minaccia di pioggia. Scarta a priori l'ipotesi di fare una passeggiata, cercando un taxi.


"Non sapevo che... Aspetta neanche tua madre lo sapeva.. Convivi con qualcuna?"

"Praticamente. Ora non cominciare a..."

Vana speranza.

"Eds ha la ragazza.. Eds ha la ragazza... Eds ha la..."

La cantilena infantile viene interrotta solamente dello spintone che il medico gli rifila. Abbastanza violento, tenuto conto che sono sufficientemente lontani dal bordo del marciapiede.

"Sei un cagacazzi Eds."

"Touche. Puoi smettere di chiamarmi Eds?"

"Non credo proprio."

Non si era aspettato nulla di diverso, e quindi si limita ad una veloce scrollata delle spalle. Riesce finalmente a richiamare l'attenzione di un taxi, che posteggia lì vicino. Apre la portiera facendo cenno all'altro di entrare ed omaggiandolo con un inchino chiaramente burlesco. Nicholas borbotta qualcosa di simile a "sbronzo che sei" ma un po' diverso.
Il Rosso lo segue subito dopo, dando la destinazione all'autista.

"Sul lungo mare? Bel colpo cuginetto."

"Lo dici solo perché non hai visto la spiaggia di Capital City."

"Spiaggia vuol dire ragazze. A proposito, mi presenti le tue colleghe?"

"All'ultimo anno di collegio mi hai chiesto di presentarti delle giovani cadette. Cosa ti fa pensare che la mia risposta, oggi, possa essere diversa?"

"Non saprei, speravo che negli ultimi anni, qualcuno ti avesse sfilato quella scopa da su per il culo."

Il medico ridacchia, ed anche il colpo di tosse che sfugge al tassista è sospettosamente simile ad una risata soffocata.

"Preferivo l'altra."

"Eh?"

"L'altra tua battuta. 'Sei così freddo che se bevessi acqua bollente, cagheresti comunque dei cubetti di ghiaccio'. Fisicamente impossibile, ma ben strutturata."

"La classe non è acqua, cugino."

"Ad ogni modo, vuoi davvero che ti presenti qualcuna?"

"Chi hai in mente?"

"Non tanto alta, mora, occhioni, faceva la cheerleader. Se le riempi spesso il bicchiere e stai ad ascoltare passerete una bella serata."

"Nel senso che me..."

"Sei un porco. Non intendevo quello. Beh, se ti va questo è il suo contatto."

Volta quindi il capo, sbirciando sovrappensiero fuori dal finestrino. È perplesso. Ha fatto un dispetto a Nicholas a causa della sua fastidiosa invasione, od a Rebecca per averlo chiamato "gelato al limone" una volta di troppo. Alla fine scrolla le spalle, borbottando qualcosa a mezza bocca.


"Oh beh, non è molto importante."











venerdì 11 luglio 2014

Il Blue Angel è un piccolo pub di Capital City. Posizione centrale, non molto spazioso, clientela giovane. Specializzato nella creazione di cocktail incredibilmente variopinti e decorati da qualsiasi cosa, dalle classiche fette di frutta, ovviamente sintetiche, a bossoli di pallottole. Si trova ad un paio di isolati dall'Aaron Lee College, ma aprendo non prima delle undici di sera è off limits per i cadetti, costretti a rientrare dalle franchigia circa un'ora prima.

Nonostante tutto un terzetto di allievi, che con il passare degli anni ha acquisito una certa esperienza nello sgattaiolare fuori dal collegio di nascosto, lo ha elevato al rango di ritrovo abituale. Tradizione che poi si é protratta anche una volta superata l'adolescenza, quando per diverso tempo hanno perso quasi del tutto i contatti.
Nei successivi dieci anni il locale, nonostante due cambi di gestione e il passaggio di frotte di camerieri e baristi, è quasi lo stesso. Unica eccezione, una vetrata che permette, dall'esterno, di farsi una panoramica dei tavoli.

Il Rosso, si trova proprio davanti a quella vetrata e sta sbirciando all'interno con aria perplessa. Non si era reso conto di essersi avvicinati al locale, durante la passeggiata. Scuote il capo un paio di volte. Non è la prima volta che le sue camminate serali sfuggano al suo controllo. Quasi sovrappensiero, muove i pochi passi che lo portano alla porta di ingresso. Non è automatizzata, un tocco retrò che ricorda dalla sua adolescenza.

Entrare è stato un errore. Se ne è reso conto non appena ha messo un piede oltre la soglia. Erano lì, l'ultima volta che l'ha vista viva. E sempre lì, per l'ultima volta si sono incontrati tutti e tre assieme.


"Una moto Shaw? E cos'è questa novità?"

"Tu vai su Roanoke, un foruncolo sul culo del 'Verse, ed io sono rimasto senza la mia autista preferita. Mi sono dovuto arrangiare da solo, Bionda."


Indietreggia di un passo, stordito, fino a quando la schiena non tocca lo stipite della porta. Alza il braccio destro, in un movimento che ormai gli risulta quasi automatico, massaggiandosi la tempia, vittima di un'improvvisa emicrania. Sta per voltarsi, ricercando alla cieca la maniglia, quando qualcuno gli si rivolge.

"Ehi! Ciao! Quanto tempo."


Bloccato sul posto volta lentamente il capo, e gli occhi azzurri si posano sulla ragazza davanti a se. Alta poco più di un metro e mezzo, visetto tondo, capelli biondi divisi in due codini. Indossa jeans, una camicetta bianca ed il grembiule blu, che ogni cameriere del locale deve portare. Un'altra costante, sebbene di poca classe.
La guarda per cinque o sei secondi, prima di riuscire ad inquadrarla. Katy, Kay, Katia, qualcosa del genere. Lavorava al Blue Angel un paio di anni addietro, ma da quel poco che ricordava aveva poi dovuto lasciare Capital City.


"Eh, già parecchio tempo. Senti io credo di aver commesso un..."

"Nessun errore! Come vedi c'é ancora posto. Forza, ti porto al tuo tavolo."

Cogliendo il medico di sorpresa allunga un braccio, chiudendo le dita sul suo polso, intenzionata a tirarselo dietro. La mano è molto calda. Normalmente si sarebbe divincolato, infastidito da tale comportamento, eppure si trova a seguirla docilmente. Guardandosi attorno nota altri due camerieri girare per i tavoli, ed il barista intento a lavare dei bicchieri. Fin troppo personale, tenuto conto che al momento è l'unico cliente. Inizia a comprendere perché Kaya, Kyra o qualcosa del genere sia così insistente. Si lascia guidare fino a quello che, con un tuffo al cuore, riconosce essere il "loro" tavolo. L'istinto di liberarsi dalla stretta si fa di nuovo vivo, ma raggiunta la destinazione la cameriera lo lascia.


"Eccoci! Vi sedevate sempre qui no? Tu ed i tuoi amici. Continuo a dire al capo di far sistemare il muro, ma mai che mi dia retta."


Il giovane non ha bisogno di guardare, per capire che alluda ad una S ed una L, grosse quanto un pollice, incise nel muro. Dalla lama di un coltellino. Sylene era stata l'unica a farlo.

"Cazzo Shaw! Sei una femminuccia. Bevi anche come una femminuccia."

"Fanculo Liljat! Tu, più che una donna, parli come un vaccaro rimmer. Ignorante come una capra e con le emorroidi al culo."

"Eddieboy, non dare della capra alla mia sorellina. E poi tengo a farti notare come né l'ignoranza, né l'essere vittima di emorroidi, ha un qualche tipo di influenza sulla voce di una persona."


Non si siede sullo sgabello. É più corretto dire che le gambe gli cedono, ed ha abbastanza fortuna da finirvi sopra. È seduto chino di poco in avanti, gomiti poggiati sul tavolo, volto nascosto tra le mani.
Un'anticipazione della serata, gli si fa strada nella mente. Un cocktail, magari due o tre, ed il primo passo verso l'accettazione, o la rielaborazione del proprio lutto. Un passo oltre quella negazione, dietro cui si è ostinatamente trincerato.

"Sono morti, Shaw. Crepati, andati, sono fottutamente morti."

 Di colpo è troppo. Riapre di scatto gli occhi e sta per rialzarsi, quando viene bloccato da Kayla, Kendra o qualcosa del genere, che gli appoggia davanti un bicchiere. Stretto e lungo, contiene un liquido blu ed ha due piccole piume bianche, ovviamente finte, incollate ai lati.

"Ecco qui, alla fine mi sono ricordato che prendevi sempre la stessa cosa ogni volta, inutile farti ordinare no?"


Il Rosso porta una mano al colletto della camicia, sbottonandolo. Improvvisamente accaldato e con le labbra secche.

"Senti, sei stata molto gentile, ma io devo andare. Un impegno. Te lo pago comunque eh."

"Ma cosa dici? Stanno arrivando no? Non vorrai lasciare da soli i tuoi amici vero?"



Ridacchia divertita, allontanandosi in fretta, nonostante non ci siano altri clienti da servire. Il medico si porta il palmo della mano alla fronte. É zuppa di sudore.

"Sai Eddieboy? Kathleen ha ragione. Gli amici non si lasciano da soli."

Si blocca di colpo, la voce proviene dal divanetto di fronte a lui. Sa che è vuoto. Eppure con la coda dell'occhio nota due figure, e le narici vengono invase da quell'odore dolciastro che, chiunque abbia qualche nozione di medicina, accosta senza errore alla carne bruciata. Rimane immobile, deglutendo a vuoto.

"Insomma Reddie voltati! Che fine ha fatto la tua educazione? Screanzato"


Obbedisce alla voce, femminile, che lo canzona, voltandosi in avanti. Lentamente, come un ingranaggio privo di olio.
Prima che gli occhi azzurri si posino sulle due figure, un ultimo pensiero razionale gli affiora alla mente. Sono morti. La loro nave è esplosa durante un viaggio nello spazio. Non ci possono essere resti.

Eppure è proprio quello che ha davanti. Due corpi, letteralmente carbonizzati. Può vedere le sottile linee dei muscoli ormai essiccati e l'affiorare del bianco delle ossa, immediatamente bagnate da rivoli di sangue.
Alcune placche grigie coprono il costato, ed il giovane sa che sono i resti di tute spaziali.
Sulle braccia si vanno a gonfiare delle vistose bolle rosse. Il labbro inferiore di uno dei due esplode, come un pezzo di carne troppo corta, macchiando il tavolo.

"Sisko! Sai che non amo lo sporco"

"E cosa ci posso fare, fratellino rompipalle?"


L'esplosione di una firefly, nello spazio aperto, non lascia integro un cadavere. Ustioni così gravi non permettono ulteriore sanguinamento. La pelle dovrebbe essere ormai morta del tutto e priva di bolle. In quello che pare un semplice meccanismo di difesa, la sua mente si limita ad elencare incongruenze logiche e mediche, invece che affrontare quello che ha davanti.
Il fuoco, ( non c'é fuoco nello spazio ), ha risparmiato soltanto gli occhi di entrambi, la stessa tonalità di azzurro, e qualche ciocca di capelli biondi sulla testa della donna. Od almeno è così fino a quel momento, il bianco degli occhi collassa, sciogliendosi e colando lungo le guance scarnificate come se fossero lacrime.

"Allora? Cosa ci fai ancora qui? Perché sei ancora da questa parte Eddieboy?"


Il Rosso apre e chiude le labbra più volte, senza riuscire a formulare un solo pensiero di senso compiuto.

"Avevi detto che ti saresti occupato di me, Reddie. Non l'hai ancora fatto. Sei vivo. Perché sei ancora vivo?"

Le braccia di entrambi vengono allungate verso di lui, dita protese che quasi gli sfiorano le guance. La stessa domanda, ripetuta all'infinito.

"Perché sei ancora vivo?"

Il Rosso, seduto nel locale urla.
Il Rosso, risvegliandosi febbricitante in una casa vuota, continua ad urlare.



At night I hear it creeping
At night I feel it move
I'll never sleep here anymore

I wish you never told me
I wish I never knew
I wake up screaming
It's all because of you

So real these voices in my head
When it comes back you won't be
Scared and Lonely
You won't be scared
You won't be scared and lonely
You won't be scared you won't be lonely






domenica 29 giugno 2014

Il Rosso non ha un bel carattere, ne è perfettamente consapevole, ed è solito definirlo "di merda". Uno dei pochi lati positivi è che quando fa una promessa a qualcuno poi mantiene sempre la sua parola. Di conseguenza, è molto raro che si lasci sfuggire un giuramento di qualsiasi tipo. Ci sono però alcune eccezioni.
Quando i suoi problemi con il sonno si sono aggravati al punto da non poter essere più ignorati, ma non a sufficienza da portarlo ad affrontare di petto i motivi che li avevano scatenati, ha promesso a Jordan che almeno un giorno a settimana, si sarebbe assicurato un'intera notte di sonno, utilizzando dei sonniferi.

Il 27 giugno, grosso modo alle sei del pomeriggio ha spento il Cortex Pad, si è messo a letto, ha portato alla bocca due pastiglie e le ha mandate giù con un sorso di succo di frutta. Si tratta di medicinali erroneamente definiti sonniferi, si limitano infatti a causare in chi li assume solo un certo grado di sonnolenza. Farmaci blandi, ma più che sufficienti per far cadere il Rosso in un sonno profondo, circa trenta secondi dopo aver appoggiato il capo sul cuscino. Durante tutta la settimana, è riuscito a conquistarsi sei o sette ore di riposo.

Si risveglia in un letto ancora vuoto, eccezion fatta per lui, assalito da una familiare sensazione di disorientamento "dove sono, che ore sono, che giorno è", ma con la testa miracolosamente sgombra e nessun fastidio agli occhi. Ormai un risveglio sereno è l'eccezione, non certamente la regola. Registra mentalmente i guaiti di Tallio, senza capire a causa di cosa si stia lamentando.
Scosta di lato il lenzuolo, intrecciando le dita ed allungando le braccia in avanti, stiracchiandosi pigramente. Come sempre gli capita, quando riesce a riposarsi più del solito, è di buon umore. Sposta lo sguardo verso la sveglia, e rimane imbambolato per una manciata di secondi. L'orologio segna le quattro del pomeriggio. Ancora non del tutto sveglio, viene colto da un pensiero assurdo, ma che sulle prime gli risulta quasi credibile. Si è addormentato, ma il tempo ha iniziato a scorrere all'indietro, lasciandolo ad affrontare una giornata di ventisei ore, invece delle canoniche ventiquattro.
Cosa sia successo veramente, lo comprende subito dopo. Ha dormito quasi per un giorno intero.


"Cazzo.."

Scende dal letto, ignorando il proprio C-Pad, ed occupandosi delle incombenze tipiche di chi abbia passato quasi un giorno intero addormentato, e condivida la casa con due animali. Una, non molto rapida, sosta in bagno per poi badare a Tallio ed a Tac, dandogli da mangiare e sbarazzandosi dei loro bisogni. Degli abituali occupanti di casa, manca una persona, ma la donna è più randagia del cane e del gatto messi assieme, quindi non si preoccupa eccessivamente.

Fresco di doccia, con un asciugamano cinto in vita e sbocconcellando un dolcetto preso a casa dalla credenza torna a letto e, finalmente, accende il Cortex. Da quando lo ha spento é passato quasi un giorno intero.

Fa giusto in tempo a sdraiarsi nuovamente, prima che il dispositivo inizi a vibrare, avvisandolo dell'arrivo di una comunicazione. Recupera l'auricolare, se lo porta all'orecchio, rispondendo senza neanche guardare sullo schermo chi lo chiamando. Non riesce nemmeno a dire "Pronto"


"DOVE DIAVOLO ERI FINITO, PAZZO INCOSCIENTE??"

Le grida quasi gli sfondano un timpano, ed istintivamente chiude la chiamata. Due pensieri si fanno strada nella sua mente. La voce di quell'indemoniata assomigliava a quella di sua madre, il primo. Nonostante il modo assurdo in cui gli si è rivolta, forse era davvero sua madre.
Il Cortex ricomincia a vibrare, e questa volta il medico controlla davvero chi ci sia dall'altro capo. È davvero Gabrielle Shaw.


"Mamma? Si può sapere che diamine.."

"NON TI DEVI PERMETTERE DI RIAGGANCIARE! HAI UN'IDEA DI COSA MI HAI FATTO PASSARE?"

Lontano di sottofondo sente la voce di suo padre. Non comprende cosa stia dicendo, ma i toni sembrano meno concitati. Il Rosso è comunque decisamente stranito, sua madre è sicuramente la più emotiva della famiglia, ma non l'ha mai sentita in quello stato.


"Ma che è successo? Si può sapere?"


"IO voglio sapere cosa sia successo! Dove sei stato? Perché avevi il Cortex spento? Sei in ospedale? Ti hanno ferito? Ho iniziato a chiamarti appena ho sentito la notizia. Parto subito e vengo lì!"

Eddie viene investito dalle preoccupazioni materne, che hanno la stessa violenza di una frana. Impiega qualche attimo a focalizzare la sua attenzione sui dettagli.

"La notizia? Ma di cosa stai parlando?"

"Ma come? Non sei a Capital City? Non la guardi la Holo Tv? E non mi hai detto come stai!"

"Sto bene mamma, aspetta un attimo."

Gabrielle non aspetta, ovviamente, ed il medico è costretto a togliersi l'auricolare dall'orecchio. Lo poggia sul materasso, ma continua a sentire distintamente la voce della donna che parla incessantemente. Il medico non guarda spesso la televisione, ed infatti va a recuperare il telecomando da un cassetto. Rapidamente, passa da un canale di news ad un altro.


"...Esplosione alle Terrazze Verdi..."
"...Non abbiamo ancora un conto preciso delle vittime ma..."
" ...Centinaia di morti..."
"...Incendi protrattisi per ore..."

"Oh merda.."

Sembra essersi quasi dimenticato di aver una chiamata in corsa con sua madre. Se ne ricorda solo quando tocca l'auricolare con la mano destra. Non si è resa conto di aver parlato con il nulla fino a quel momento.


"...Insomma mi hai capito? Quando torni a casa?"

"Senti mamma, non lo so. Forse riesco a passare per la tua festa, ma questa storia é grossa e.."

"Ma hai sentito una parola di quello che ho detto finora? Devi tornare qui, per sempre?"

"Eh?

"Capital City non è un posto sicuro, non posso continuare ad avere un colpo al cuore ogni volta che cerco gli aggiornamenti di Horyzon."

"Andiamo, non vivo mica nel 'Rim."

"Serial Killer che oltre ad uccidere delle persone scatenano tumulti, suicidi di massa, bambine scomparse ed ora questo. È peggio del fottuto 'Rim. Basta, devi tornare a casa. Adesso!"

"Non ho sei anni mamma, non puoi mandarmi in camera in castigo. E poi ho un lavoro, mi hanno appena assunto in pianta stabile."

"Sei un medico, non un giornalista. Troverai sicuramente un posto anche qui."

Il Rosso non è famoso per la sua pazienza, non ne ha una gran scorta. Quello che lo tiene lontano dai guai è la sua capacità di sfruttarla fino all'ultima stilla, e l'abilità di rendersi conto per tempo, quando è ormai sul punto di consumarla del tutto. Tra l'altro Gabrielle l' ha sconvolto. Quel "fottuto" non sarà la prima parolaccia pronunciata in tutta la vita, ma difficilmente il conto totale potrebbe andare oltre le dieci.


"Mi passi papà?"

"Non vedo perché, qualunque cosa.."

"Mi passi papà, per favore?"


Sente dapprima, in sottofondo, il conciliabolo tra i due e subito dopo, finalmente, la voce calma di Steven Shaw.


"Senti, mi dispiace se vi ho fatto preoccupare, ma ho passato un paio di notti in bianco, ieri ho preso qualcosa per dormire e... Beh mi sono svegliato adesso"



Seguono cinque o sei secondi di silenzio, in cui il padre analizza attentamente le parole del figlio. Pare prenderle per buone, probabilmente persuaso di come, se davvero Eddie avesse voluto mentirgli, avrebbe trovato una scusa migliore.


"Ho capito. L'importante per noi, è che tu stia bene."

"Certo, immagino. Senti, io ora devo per forza passare in ufficio. Pensi che la mamma si calmerà? Non posso e non voglio, mollare tutto."

"Dalle un paio di ore, adesso sa che non ti è successo nulla. Le parlerò."

"Va bene, grazie. Ora chiudo però, devo fare qualche telefonata. Ciao papà."

"A presto Edward."

Il Rosso chiude la comunicazione, senza però sfilare l'auricolare, rialza lo sguardo, tornando ad ascoltare le notizie alla Holo Tv.


"Merda."

Inizia velocemente a vestirsi, pescando vestiti a caso dall'armadio, facendo le sue telefonate di rito.









sabato 7 giugno 2014

Il 28 aprile 2517, è stato un giorno felice per il giovane medico, quello in cui si è venuta a creare la sua famiglia. Alle 10 del mattino, dopo un'infinita serie di intoppi burocratici, il giudice Piper ha ufficializzato la sua richiesta di adozione per la piccola Jane. Due ore più tardi, con una settimana di anticipo sulla data prefissata, Jordan ha dato alla luce il loro primogenito.
In serata, l'Anagrafe di Capital City ha dovuto registrare due nuove cittadini. Jane Shaw, di anni tredici, ed il neonato Matthew Steven Shaw.
L'anno successivo, il 28 aprile viene festeggiato con un pic-nic all'Unification Park. Otto anni più tardi, quella che ormai si è trasformata in una vera e propria tradizione, si è ripetuta nuovamente.

Jane Shaw
(Age 21)
Matthew Steven Shaw
(Age 8)

"Papà? Perché la mamma ti chiama Shaw, alcune volte?"

Matthew è la perfetta fusione delle caratteristiche fisiche di entrambi i suoi genitori. Struttura fisica esile, carnagione pallida, una folta zazzera di capelli biondi, occhi azzurri ed una spruzzata di lentiggini sul volto. Caratterialmente, il discorso cambia, è allegro ed estroverso, qualcosa di estraneo tanto ad Eddie, quanto a Jordan. Ha iniziato a frequentare la scuola da un paio di anni, con buoni risultati, sebbene sia molto più incline al gioco che allo studio. Da qualche mese è entrato nel periodo delle domande. Ha interrogativi su ogni cosa e li rivolge tanto ai suoi genitori, quanto alla sorella.


"Perché tua madre ha la testa dura, e quando si fissa su una cosa, poi impiega davvero tanto tempo prima di cambiare idea."


La replica coglie Jordan con la bocca piena. Come una bambina si è appropriata subito dei dolci, lasciando da parte i tramezzini. Riesce faticosamente ad ingoiare un colossale boccone di cioccolato, prima di sillabare un chiarissimo "Fanculo Shaw", continuando a sorridere divertita.
Matthew si perde l'abituale sfoggio di finezza di sua madre, il garbato ridacchiare di Jane fa comprendere come l'abbia notato eccome.
Il Rosso l'ha incontrata, dodicenne, in ospedale dove era ricoverata dopo aver assistito al suicidio di nove persone, tra cui i suoi genitori ed i due fratelli. Causa scatenante di quella follia, i vaneggiamenti sull' Apocalisse di un certo "Padre" Collins.
Il fatto che abbia iniziato ad interessarsi a lei, vedendo il modo lucido e razionale con cui si rapportava a quanto accaduto, dice molto sul carattere del medico, ma nulla di realmente positivo.
Pur non brillando per empatia, grazie anche all'aiuto di Jordan, è riuscito con molta fatica a restituirle quel poco di infanzia che il trauma subito, ed un intelligenza troppo viva ed acuta, le avevano sottratto. Caratterialmente assomiglia incredibilmente al Rosso, ed ha seguito le sue "orme" iscrivendosi all'Università in medicina. Il terzo anno di corsi, ha avuto una media di due punti superiore a quella del padre, causandogli un misto di gioia e lieve gelosia.


"Fa sempre così. Se ne esce con domande del genere. L'altro giorno lo stavo riaccompagnando a casa da scuola, ed abbiamo incontrato Terry, una mia compagna di corso.. L'ha guardata, si è presentato, e le ha chiesto con chi dormisse la notte."

Eddie quasi si strozza con il bicchiere di succo di frutta che sta bevendo, Jordan accoglie la cosa fin troppo normalmente, arrivando addirittura ad annuire. Alla fine scoppiano a ridere tutti e tre, lasciando Matthew stupito. Non comprende cosa ci fosse di divertente in quanto raccontato dalla sorella. Ad ogni modo, non si rassegna e pone un'altra domanda.


"Papà? Perché la mamma ti ha puntato contro una pistola, la prima volta che vi siete visti?"

Questa volta il Rosso si strozza davvero, ed inizia a tossire, riuscendo ad evitare per un pelo, di sputacchiare il succo sul telo. Lancia poi a Jordan un'occhiata non delle più amichevoli. Jane deve aver notato anche questo, perché si mette in mezzo.


"Matty, è una bella giornata, perché non andiamo a giocare con Tallio? Hai portato la sua palla?"


Matthew reagisce alla proposta con uno strilletto di gioia, schizzando in piedi.


"Sì, sì. Non ci giochiamo da quando zia Rebecca è passata a trovarci".


Tallio, il cane del medico e zio putativo del biondino, ha quasi dieci anni ormai. L'abituale indolenza è diventata semplice stanchezza, ma qualche corsa dietro ad un pallone ancora non gli dispiace. In due o tre minuti, il terzetto si allontana, lasciando Eddie e Jordan da soli.


"Ti sembrava il caso di dirgli una cosa del genere, Jay?"

"Lo sai che non riesco a raccontargli delle storie. Ho provato a divagare, ma insisteva. E poi dov'è il problema. È vero."

"Mi fai una promessa?"

"Va bene."

"Quando ti chiederà come nascono i bambini, per piacere, non dirgli niente e mandalo da me."


La risata cristallina della donna gli riempie le orecchie.


"Va bene Shaw, promesso. Sono belli insieme, non è vero?"


Il medico da le spalle al punto in cui stanno giocando, fa quindi per voltarsi quando sente un richiamo.


"Papà! Attento alla palla...."


Il Rosso riapre gli occhi, accolto dalla familiare sensazione di disorientamento, successiva al risveglio. Sbatte le palpebre più volte, prima di mettere a fuoco dove si trovi. È in viaggio verso Roanoke, per un servizio. È il 2516 e si era semplicemente addormentato.
Incrocia lo sguardo con la donna seduta davanti a se, che lo guarda perplesso. Il medico ha gli occhi arrossati, il viso pallido e le occhiaie. Non si sorprenderebbe se venisse scambiato per un drogato.


"Buongiorno.."

"Salve a lei."


Le risponde con la voce roca, ed ancora impastata dal sonno.


"Sorrideva sa?"

"Come ha detto, scusi?"

"Mentre dormiva dico, stava sorridendo. Ha sognato qualcosa di bello?"


È troppo assonnato, per reagire freddamente all'eccessiva, almeno per lui, curiosità della donna. Sembra invece riflettere seriamente tanto sulla domanda, quanto sugli ultimi brandelli del sogno non ancora andati persi.


"Non saprei. Mi scusi comunque, non dormo bene ultimamente."


Deve essere un qualche tipo di congedo, perché si sistema meglio sul suo sedile, chiudendo nuovamente gli occhi. È fortunato, scivola nuovamente nel sonno, ma un ultimo pensiero cosciente fa ancora capolino nella sua mente stanca.


"Devo comprarle degli altri anticoncezionali. Per sicurezza."



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domenica 1 giugno 2014

Il Rosso apre gli occhi non sorprendendosi, nel trovarli umidi di lacrime. Non ha ancora capito se dipenda da incubi, di cui comunque non serba ricordo, o dai risvegli troppo prematuri. Volta lentamente il capo, cercando di inquadrare la sveglia. Dapprima vede soltanto un'ombra rossa, sfocata. Impiega qualche secondo, prima di riuscire a leggere l'ora. Le quattro e mezza del mattino. Ha dormito meno di un'ora. Per amor di precisione, sono passati cinquantasette minuti, dall'ultima volta in cui ha guardato la sveglia.
Avverte con qualche attimo di ritardo il peso del familiare fagotto biondo che gli dorme addosso. Gli ha appoggiato un braccio, ornato da un braccialetto d'argento, contro il petto, e la punta del suo naso gli accarezza la spalla. Normalmente è una sensazione che lo rasserena, altre volte, e quella notte gli capita proprio quello, gelosia ed invidia lo pungono come degli insetti molesti. Perché soltanto a lui, è negato il piacere di una notte di riposo?.
Dopo un lungo sospiro, resiste alla tentazione infantile di svegliarla. Le prende il polso tra le dita, delicatamente, e dopo averlo alzato, scivola fuori dalla sua presa. La testa di Jordan ha ora un cuscino, come unico sostegno, ma non sembra rendersi conto del cambiamento. Il suo sonno profondo, e per una volta sereno, è un nuovo morso, tanto doloroso, quanto l'immediato senso di colpa. Quello che gli succede, non lo può certo imputare a lei.
Una volta alzato, si china verso di lei, sistemandole una ciocca bionda dietro l'orecchio, in un gesto che sfocia in una mezza carezza. In risposta, ottiene un mugugno dolce, simile a delle fusa.
Sgattaiola via dalla camera da letto in silenzio, muovendosi in punta di piedi e chiudendo la porta dietro di se. Senso di colpa o meno, il nervosismo gli scorre sottopelle, mentre si guarda attorno alla ricerca di qualcosa da fare. Una doccia lo calmerebbe, ma con ogni probabilità sveglierebbe Jordan. Le guance sono macchiate da un'ombra rossiccia di barba, ma tagliandosela farebbe comunque troppo rumore. Gira come un'anima in pena per il salotto, fino a quando la sua mente stanca non si sofferma sull'opzione più facilmente percorribile. Si cambia lì, direttamente in salotto, recuperando dall'armadio un paio di pantaloncini neri, e la felpa rossa del collegio, che non indossa da diversi mesi. Calza delle scarpe sportive, seduto per terra, vicino alla cesta in vimini dove riposa Tallio, una volta allacciate, accarezza la testa al cane. Da quando lo ha colpito, durante uno scatto d'ira, si é comportato come un padre che cerca di ricomprare l'affetto del proprio bambino. Coccole, moine e regali. Senza raccogliere il minimo risultato però, anche quella notte, l'huskey rimane sdraiato senza nemmeno alzare il muso.


"Ehi, vuoi venire fuori con me? Mmnh?"

Nessuna reazione, nemmeno un vago scodinzolare, od un basso guaito. Nulla. Viene nuovamente assalito, in egual misura da rancore e rimorso, ed è animato da quelle emozioni quando, una volta recuperate le chiavi, si fionda fuori di casa. Si trattiene a stento, da sbattersi la porta alle spalle.

Il Rosso abita da cinque anni a Capital City, ma ha iniziato a frequentare l'Unification Park soltanto di recente, per correre. All'inizio, cercava soltanto un modo per stancarsi abbastanza da essere costretto a dormire, l'esperimento non gli ha fatto guadagnare neanche un solo minuto di sonno, ma alla lunga, si è rivelato un metodo meno autolesionista dei pugni contro il muro, per sfogare il proprio nervosismo.
Il suo percorso preferito gira attorno ad uno dei due laghetti artificiali, ampio abbastanza per non annoiarlo, almeno all'inizio. Alla lunga, normalmente, si distrae, correndo meccanicamente e sovrappensiero.
Quella notte, il primo giro è lento, riscalda i muscoli cercando di non aggravare il mal di testa, costante, che gli pulsa contro la tempia.
Al secondo, allunga la falcata, l'andatura è meno contratta.
Quando affronta il terzo giro, il respiro è affannoso, le guance arrossate. Non sta più realmente correndo, pesta con i piedi sulla pista, come se avesse diavoli e demoni alle sue spalle. L'emicrania rimbomba, avverte una pugnalata alla milza ad ogni passo, ma non si ferma. Non ci sono altri mattinieri, o nottambuli, attorno a lui. Ha la pista tutta per se, e sembra intenzionato a correre fino a quando non stramazzerà a terra, come un cavallo zoppo.
Ed è proprio la fine che rischia di fare, il piede destro gli slitta e perde l'equilibrio per un attimo. Lo recupera all'ultimo facendo qualche altro passo, sgraziato come un volatile abbattuto da un cecchino, fino a quando non si ferma del tutto. Le gambe praticamente piantate  per terra, rigide per l'acido lattico. È curvo in avanti, non riesce a respirare soltanto con il naso, è per questo ha la bocca spalancata. Le mani che tremano, ed i crampi allo stomaco, gli ricordano la fiala di Dexepam che avrebbe dovuto bere, e che è ancora ad aspettarlo sul comodino.


"Non sono un medico, ma non hai un bell'aspetto, giovanotto."

La voce proviene da qualche parte alla sua destra. Non riesce ancora a muoversi, ed impiega qualche secondo, prima di riuscire ad inquadrare la persona che gli ha appena rivolto la parola. Settant'anni abbondanti, pochi ciuffi di capelli bianchi ai lati della testa, un volto tondo e simpatico, con le guance ed il naso rubizzi di chi abbia alzato il gomito spesso e volentieri. L'uomo è seduto su una panchina ed ha le mani appoggiate sul proprio bastone. Gli è vagamente familiare, non è la prima volta che lo incrocia al parco. Hanno gli stessi orari impossibili.


"Sto.. Sto bene. Non... Si preoccupi."



Il volto del Rosso è impallidito di colpo, facendo sparire le poche lentiggini e rendendo le occhiaie ancora più vistose. Ha le labbra secche, ma il respiro si sta facendo un poco meno affannoso.
Il vecchietto, scivola di lato sulla panca, tradendo un certo dolore alle ginocchia, facendogli cenno di accomodarsi. Il Rosso, valuta l'invito con attenzione, ed alla fine accetta. Si avvicina alla panca con le gambe ancora imballate, ma riesce a sedersi con un minimo di dignità, senza lasciarcisi cadere sopra. Appoggia le mani sulle ginocchia, così da rendere il tremore meno evidente.


"Ti vedo spesso gironzolare qui in giro, ma questa volta pensavo che saresti crollato a terra da un momento all'altro."

"Sto bene, grazie dell'interessamento."


È ancora un po' sfiatato, e non riesce ad imprimere nel tono di voce quella punta di fastidio, che gli causano le attenzioni del vecchio.

"Corri sempre così tardi. Quando la notte sta finendo, ma non è ancora giorno. Qualcuno le ha definite le ore in cui l'uomo è veramente da solo."


Il Rosso alza gli occhi al cielo. Chiacchierone, anziano e con propensione alla filosofia spicciola. Se non avesse due blocchi di cemento al posto delle gambe, e la sensazione, fondata, di non riuscire a mettere in fila più di un paio di passi senza dare di stomaco a causa degli effetti collaterali del suo up genetico, non placati dal Dexepam, se ne andrebbe, dopo aver smozzicato un saluto qualsiasi.


"Figliolo, a quest'ora bisognerebbe essere a casa, a letto con una bella ragazza. Che ci fai qui?"

"E lei invece? Come mai non segue il suo stesso, saggio, consiglio?"


La risposta gli esce più acida, e tagliente, di quanto non fosse nelle sue intenzioni. Il vecchietto, non ne viene minimamente toccato.


"Perché alla mia età il letto risulta sempre scomodo, e la mia bella ragazza è venuta a mancare quattro anni fa."

"Capisco."

"Credo che tu volessi dire condoglianze, non è vero?"

"Oh sì certo, condoglianze."


Gliele rivolge con qualche attimo di ritardo, piegando di poco il capo, e notando soltanto adesso, una fede dorata all'anulare sinistro.


"Invecchiando cala la vista, si perde qualche centimetro in altezza, si riduce l'intervallo tra una puntata e l'altra al gabinetto, ma soprattutto si dorme molto di meno. Tu sei un po' troppo giovane per avere problemi con il sonno."


Il Rosso non pare sorpreso dalla corretta intuizione del vecchio. L'ha sempre visto correre di notte, ed ha sul volto occhiaie che solo un cieco potrebbe non notare.


"Hai qualche problema per caso, figliolo?"


Il giovane arriccia la punta del naso, infastidito, prima di replicare.


"Perché me lo chiede? Le interessa davvero?"

"Sii gentile, manca ancora molto prima che sorga il sole. Due chiacchiere non hanno mai ucciso nessuno, no? Allora, che cosa ti turba?"

"Nulla, va tutto bene. Una mia amica ha avuto un problema.. Beh un problema serio, ma ne è uscita."

"Oh ottimo, ed allora che cosa ti tiene sveglio?"


Un lungo sospiro abbandona le labbra del Rosso, facendogli curvare la postura un poco di più.


"Quello che penso, è troppo egoista e sbagliato, anche per me."

"Perché non me ne parli, allora?"

"Come è morta, sua moglie?"

Si accorge di cosa ha domandato, e del tono di voce usato, troppo tardi. Il tatto di una mandria di bufali. La bionda, ancora addormentata, potrebbe forse gradire, il medico ha il buonsenso di vergognarsene un poco.


"Mi scusi, sono mortificato."


Il vecchio continua a guardare davanti a se, rendendo complicato al medico, capire se se la sia presa, o meno. Rimane in silenzio per qualche secondo, stringendo più forte il suo bastone.

"Un malanno al cuore, non l'abbiamo preso in tempo."

"La amava molto?"

"La amo ancora adesso, figliolo."


È questa volta il turno del Rosso di tacere. Labbra serrate ed il palmo della mano poggiato contro la bocca dello stomaco, ha un'altra domanda sulla punta della lingua, è evidente da come guarda di sottecchi il vecchio. Alla fine, dopo aver fatto trenta, si concede anche il trentuno.


"Se qualcun altro che conosce, od a cui è legato, fosse vittima della stessa malattia, ma riuscissero a curarla, cosa proverebbe? Sarebbe contento? Od infuriato perché a salvarsi è stata questa persona e non loro... Volevo dire e non sua moglie?"


Il vecchio si volta verso di lui, per la prima volta. Gli occhi verdi, arrossati come quelli del medico, lo osservano per una decina di secondi, resi opachi da quella che potrebbe essere tristezza. Alla fine gli posa una sulla spalla, forse alla ricerca di un appoggio per rialzarsi. Effettivamente si mette in piedi, a fatica, ma d'altra parte aveva il proprio bastone.


"Accetta un consiglio, da chi è invecchiato così tanto, da aver dovuto necessariamente accumulare un poco di saggezza. Nella vita accadono cose belle e cose brutte. Una persona furba non le misura. Tira avanti godendosi quello che ha, e ricordando con affetto, o gratitudine quello che non ha più. Non deve tenere tutto e calcolarlo come un avaro. Pensi di esserne capace?"

"Non lo so."


Il vecchio gli stringe affettuosamente la spalla, prima di usare nuovamente il suo bastone, come unico sostegno.


"Torna a casa ragazzo. Se hai una persona che ti aspetta, raggiungila. Altrimenti trovala. Spero che la prossima volta che ci rivedremo, sarà con il sole ben alto nel cielo"

"Mi chiamo Edward."

"Ed io William. Ora torna a casa ragazzo. È la scelta più saggia. Buon riposo".


Il vecchio si allontana lentamente, ogni passo ben cadenzato dal rintocco del bastone. Poco prima di sparire oltre un sentiero secondario, si volta verso il Rosso, salutandolo. Viene ricambiato.


"La scelta più sana."


Mormora a sua volta, prima di alzarsi dalla panchina, stiracchiarsi per qualche attimo, e riprendere a correre.










mercoledì 28 maggio 2014

L' "Aaron Lee" é un collegio militare di Capital City. Particolarmente prestigioso, accoglie ogni anno sessanta studenti, che finiranno lì gli studi superiori. I nuovi alunni, divisi in tre classi, vengono seguiti da professori civili, ufficiali inquadratori della Flotta, ma anche dagli allievi degli altri due corsi.

Partecipare al concorso per l'ammissione, era stata un'idea più dei suoi genitori, che propria. L'intento era quello di forzarlo ad interagire con i propri coetanei, dopo avergli visto trascorrere l'infanzia, senza lo straccio di un amico. Più per disinteresse verso il prossimo, che per timidezza. Alla fine, Eddie ha semplicemente ritenuto più semplice accettare quella proposta, sottraendosi così alla loro supervisione, piuttosto che continuare ad essere iscritto a decine di corsi sportivi, oltre a dover passare troppi pomeriggi in compagnia dei figli di ogni loro conoscente. Superati i test fisici e culturali, facilmente, e quelli attitudinali, con una piccola spintarella concessa a chi proviene da una famiglia di militari, il 2 settembre del 2506 nella la lista dei nuovi cadetti, compariva anche Edward Benjamin Shaw.


Sei mesi più tardi, venne convocato per la prima volta nell'ufficio del comandante del proprio corso. Il capitano Mage, era distaccato al collegio Lee da dodici anni, quattro trienni di allievi alle spalle, un quinto appena iniziato. Un'anomalia, raramente incarichi del genere si protraggono così a lungo. Una sua scelta forse, od il punto morto, della propria carriera.


"Entri cadetto Shaw, é in anticipo."

Agli allievi non é quasi mai permesso di accomodarsi, negli uffici di un ufficiale, motivo per cui il Rosso si é semplicemente diretto verso la scrivania dell'uomo, fermandosi ad un paio di passi di distanza. Peso distribuito equamente su entrambe le gambe, braccia dietro la schiena, le dita della mano destra chiuse attorno al polso sinistro ed appoggiate all'altezza della cintura. Una posa, che si porterà dietro per anni. Indossa la divisa d'ordinanza. Giacca e pantaloni blu, camicia azzurra e la cravatta con l'emblema del collegio.
Il comandante Mage, dopo aver richiamato sullo schermo del proprio Holodeck la schermata con i dati dell'allievo, si prende qualche attimo per studiare il ragazzo davanti a sé.
Fisicamente, il Rosso é sbocciato tardi. A quindici anni, a causa dei lineamenti morbidi del volto, ne dimostra al massimo quattordici. La corporatura è esile, ci vorrà ancora qualche mese prima che riesca finalmente a superare il metro e sessanta. Solo lo sguardo distaccato può dare un'idea dell' uomo che diventerà. Al momento è soltanto un ragazzino che guarda, senza la minima curiosità per quell'inaspettata convocazione, il proprio comandante.


"Si é lasciato sfuggire un po' troppo quei capelli. Quando avremo finito qui, passi dal barbiere."

Quella richiesta, fattagli da un uomo la cui stempiatura é andata ben oltre la fronte, non fa scappare al ragazzo nemmeno un accenno di sorriso. Annuisce soltanto.


"La sua scheda mi causa qualche perplessità, Shaw."

"Le posso chiedere da cosa dipendano, queste sue perplessità?"

"Nessun richiamo comportamentale o giorni di punizione. Niente libere uscite, richieste di permessi o licenze, se non quelle concesse a tutto il corpo studentesco. Neanche un solo ricovero in infermeria."

"Temo di non capire quale sia il problema."

"Cercherò di essere più chiaro allora. Sono dati che permettono di comprendere il grado di adattamento di ogni cadetto alla vita nella scuola. Livelli indicatori. Fin qui mi segue?"

"Credo di sì."

"In base al numero ed al tipo di infrazioni, é più facile distinguere la normale agitazione adolescenziale da una richiesta di attenzioni. Chi si inventa ogni pretesto per tornare a casa non si é inserito con i suoi compagni, mentre chi esce ad ogni franchigia si é adattato. Troppi ricoveri in infermeria potrebbero essere indice di pigrizia. "Sonno a sgamo", si dice così, no?"

L'infermeria è più che altro una sorta di mercato nero, in cui gli infermieri vendono agli allievi, a prezzi maggiorati, alcolici, sigarette e tutto quello che il regolamento del collegio non gli concede di possedere. Non è comunque un'informazione che il Rosso ritenga salutare, condividere con il comandante. A riguardo, non va oltre un vago cenno di assenso.


"Non ha voglia di visitare Capital City?"

"Il giorno dei colloqui con i genitori, mi hanno portato a vedere Carpathia Square."

"Ha dei problemi con i suoi compagni di classe? Con qualcun altro del suo anno? O con quelli più anziani? Ha avuto un diverbio con il cadetto.... Chung"

"Onestamente é lei ad aver avuto un diverbio con me. Mi sembra piuttosto incline ad alzare la voce ed a parlare abbastanza per due."

Il sarcasmo che in futuro farà capolino da quasi ogni sua parola, è un lato del carattere del giovane non ancora formato del tutto. Il tono di voce è così inespressivo da risultare del tutto monocorde. Ci vorranno ancora un paio di anni, prima che arrivi a comprendere come, il modo migliore per sfuggire all'attenzione del prossimo, sia mostrargli quel che vogliono vedere.


"Mi dica Shaw, sono i suoi genitori a costringerla a rimanere qui? Le fanno delle pressioni?"

"Non sono quel tipo di persone."

"Forse ha bisogno del sostegno di uno psicologo."

Solo dopo queste parole, l'allievo ha una minima reazione. Aggrotta le sorpacciglia e non appare particolarmente soddisfatto.


"Finirebbe nella mia scheda?"

"Ha paura che influisca sulla sua domanda per l'accademia militare?"

Un quindicenne, con ogni probabilità, non può già sapere, con precisione, cosa ci sarà nel suo futuro. Il Rosso é però certo di cosa non vi farà parte. La carriera militare, fa parte di quell'elenco. Non l'ha ancora detto a suo padre, e non sarà certo il comandante Mage il primo a venirlo a sapere. Un sostegno psichiatrico, è la risposta a qualcosa che non funziona, ed il giovane non ritiene di avere problemi. É per questo che si dimostra riottoso a partecipare ad una terapia.


"Dovrei iniziare a violare le regole, per rassicurararla? O ad andare in infermeria per ogni mal di stomaco? Così entrerei nei suoi parametri."

"Lei é intelligente Shaw, non prendiamoci in giro. Voglio capire come aiutarla ad ambientarsi. Non può restare da solo per tre anni. Non crede?"

"Le posso fare una domanda, comandante?"

"Concesso."

"Se lei restasse chiuso in un ascensore con una ventina di persone, e non riuscisse a legare con nessuno, chiederebbe il sostegno di uno psicologo?"

"Qualche ora, non sono sei mesi."

"Ma il fatto che non riesca a relazionarmi con un numero ristretto di persone, in linea di principio, non è necessariamente indice di un mio problema."

"Lo sa vero, che potrei semplicemente limitarmi ad ordinarle di parlare con il nostro psicologo?"

"Certamente, confido nella sua comprensione, signore."

Il comandante si prende qualche attimo di silenzio. Incrocia le braccia al petto, soppesando con attenzione il giovane che ha davanti a sé. Dopo quasi un minuto, attira a sé l'Holodeck, iniziando a scrivere una correzione sulla scheda di Eddie.


"La sposto nella seconda classe, del suo anno, Shaw. Se non noterò cambiamenti nel prossimo mese, parlerà con il dottore, o si ritirerà dagli studi. Abbiamo un accordo?"

"Abbiamo un accordo."

"Molto bene, può andare. Mi chiami i due allievi che aspettano fuori dalla porta."

"Comandi."

Uscito dall'ufficio del comandante, le narici del Rosso vengono aggredite da una zaffata di fumo di sigaretta. Gli studenti non possono fumare all'interno della scuola. Per farlo davanti all'ufficio di un ufficiale, bisogna essere stupidi o volersi cercare i guai.


"Sisko! Mettila via! Sei già in punizione per un mese."

"Appunto, cosa vuoi che importi venire consegnata per un'altra settimana."

Almeno di nome, il giovane conosce tutti i suoi compagni di corso. In questo caso é agevolato. Ci sono poche coppie di fratelli, tra gli studenti. Una sola di gemelli, figli di un ammiraglio, ovvero quella che ha davanti. La ragazza, bionda, molto popolare e casinista, é sul filo dell'espulsione, per motivi disciplinari, fin dal secondo giorno. Il ragazzo, moro, è quasi la copia del Rosso. Taciturno e con ottimi voti. Le poche punizioni, dovute ai suoi tentativi di proteggere la sorella. Sylene e Saren Liljat.
Bisticciano per qualche altro secondo, prima di notare il Rosso che li sta fissando.


"Beh? Che cosa hai da guardare?"

"Niente. Siete buffi, visti assieme. Il comandante vuole che entriate."

Buffi. Il ragazzo sembra sul punto di aggredirlo, la bionda scoppia a ridere, avvicinandosi al futuro medico.


"Va bene, va bene. Andiamo. Questa me la puoi buttare tu, Rosso?"

 Guarda dapprima la sigaretta nella mano della bionda, e poi il resto del corridoio. Nessuno in vista, ed alla fine prende la cicca, mezza consumata.


"Sei gentile Roscetto. Andiamo fratello, prima che al comandante saltino i nervi, e chiami Mister Admiral a casa."

La ragazza, strafottente, entra nell'ufficio, tirandosi dietro il fratello. Quest'ultimo, prima di sparire dietro la porta, lancia ad Eddie un'ultima occhiata poco amichevole. Rimasto solo, con una sigaretta in mano, il giovane guarda ancora per qualche attimo l'ufficio dentro cui sono scomparsi i gemelli Liljat. Dopodiché inizierà ad allontanarsi, cercando un cestino dove buttare la cicca.


"Decisamente molto buffi."

Di lì a tre settimane, in loro compagnia uscirà per la prima libera uscita. I primi giorni di consegna, per essere stato trovato fuori dal letto in piena notte, si faranno attendere altri quindici giorni. Su una cosa, il comandante Mage aveva ragione, la vita del collegio affrontata in compania risultò molto più semplice.