mercoledì 28 maggio 2014

L' "Aaron Lee" é un collegio militare di Capital City. Particolarmente prestigioso, accoglie ogni anno sessanta studenti, che finiranno lì gli studi superiori. I nuovi alunni, divisi in tre classi, vengono seguiti da professori civili, ufficiali inquadratori della Flotta, ma anche dagli allievi degli altri due corsi.

Partecipare al concorso per l'ammissione, era stata un'idea più dei suoi genitori, che propria. L'intento era quello di forzarlo ad interagire con i propri coetanei, dopo avergli visto trascorrere l'infanzia, senza lo straccio di un amico. Più per disinteresse verso il prossimo, che per timidezza. Alla fine, Eddie ha semplicemente ritenuto più semplice accettare quella proposta, sottraendosi così alla loro supervisione, piuttosto che continuare ad essere iscritto a decine di corsi sportivi, oltre a dover passare troppi pomeriggi in compagnia dei figli di ogni loro conoscente. Superati i test fisici e culturali, facilmente, e quelli attitudinali, con una piccola spintarella concessa a chi proviene da una famiglia di militari, il 2 settembre del 2506 nella la lista dei nuovi cadetti, compariva anche Edward Benjamin Shaw.


Sei mesi più tardi, venne convocato per la prima volta nell'ufficio del comandante del proprio corso. Il capitano Mage, era distaccato al collegio Lee da dodici anni, quattro trienni di allievi alle spalle, un quinto appena iniziato. Un'anomalia, raramente incarichi del genere si protraggono così a lungo. Una sua scelta forse, od il punto morto, della propria carriera.


"Entri cadetto Shaw, é in anticipo."

Agli allievi non é quasi mai permesso di accomodarsi, negli uffici di un ufficiale, motivo per cui il Rosso si é semplicemente diretto verso la scrivania dell'uomo, fermandosi ad un paio di passi di distanza. Peso distribuito equamente su entrambe le gambe, braccia dietro la schiena, le dita della mano destra chiuse attorno al polso sinistro ed appoggiate all'altezza della cintura. Una posa, che si porterà dietro per anni. Indossa la divisa d'ordinanza. Giacca e pantaloni blu, camicia azzurra e la cravatta con l'emblema del collegio.
Il comandante Mage, dopo aver richiamato sullo schermo del proprio Holodeck la schermata con i dati dell'allievo, si prende qualche attimo per studiare il ragazzo davanti a sé.
Fisicamente, il Rosso é sbocciato tardi. A quindici anni, a causa dei lineamenti morbidi del volto, ne dimostra al massimo quattordici. La corporatura è esile, ci vorrà ancora qualche mese prima che riesca finalmente a superare il metro e sessanta. Solo lo sguardo distaccato può dare un'idea dell' uomo che diventerà. Al momento è soltanto un ragazzino che guarda, senza la minima curiosità per quell'inaspettata convocazione, il proprio comandante.


"Si é lasciato sfuggire un po' troppo quei capelli. Quando avremo finito qui, passi dal barbiere."

Quella richiesta, fattagli da un uomo la cui stempiatura é andata ben oltre la fronte, non fa scappare al ragazzo nemmeno un accenno di sorriso. Annuisce soltanto.


"La sua scheda mi causa qualche perplessità, Shaw."

"Le posso chiedere da cosa dipendano, queste sue perplessità?"

"Nessun richiamo comportamentale o giorni di punizione. Niente libere uscite, richieste di permessi o licenze, se non quelle concesse a tutto il corpo studentesco. Neanche un solo ricovero in infermeria."

"Temo di non capire quale sia il problema."

"Cercherò di essere più chiaro allora. Sono dati che permettono di comprendere il grado di adattamento di ogni cadetto alla vita nella scuola. Livelli indicatori. Fin qui mi segue?"

"Credo di sì."

"In base al numero ed al tipo di infrazioni, é più facile distinguere la normale agitazione adolescenziale da una richiesta di attenzioni. Chi si inventa ogni pretesto per tornare a casa non si é inserito con i suoi compagni, mentre chi esce ad ogni franchigia si é adattato. Troppi ricoveri in infermeria potrebbero essere indice di pigrizia. "Sonno a sgamo", si dice così, no?"

L'infermeria è più che altro una sorta di mercato nero, in cui gli infermieri vendono agli allievi, a prezzi maggiorati, alcolici, sigarette e tutto quello che il regolamento del collegio non gli concede di possedere. Non è comunque un'informazione che il Rosso ritenga salutare, condividere con il comandante. A riguardo, non va oltre un vago cenno di assenso.


"Non ha voglia di visitare Capital City?"

"Il giorno dei colloqui con i genitori, mi hanno portato a vedere Carpathia Square."

"Ha dei problemi con i suoi compagni di classe? Con qualcun altro del suo anno? O con quelli più anziani? Ha avuto un diverbio con il cadetto.... Chung"

"Onestamente é lei ad aver avuto un diverbio con me. Mi sembra piuttosto incline ad alzare la voce ed a parlare abbastanza per due."

Il sarcasmo che in futuro farà capolino da quasi ogni sua parola, è un lato del carattere del giovane non ancora formato del tutto. Il tono di voce è così inespressivo da risultare del tutto monocorde. Ci vorranno ancora un paio di anni, prima che arrivi a comprendere come, il modo migliore per sfuggire all'attenzione del prossimo, sia mostrargli quel che vogliono vedere.


"Mi dica Shaw, sono i suoi genitori a costringerla a rimanere qui? Le fanno delle pressioni?"

"Non sono quel tipo di persone."

"Forse ha bisogno del sostegno di uno psicologo."

Solo dopo queste parole, l'allievo ha una minima reazione. Aggrotta le sorpacciglia e non appare particolarmente soddisfatto.


"Finirebbe nella mia scheda?"

"Ha paura che influisca sulla sua domanda per l'accademia militare?"

Un quindicenne, con ogni probabilità, non può già sapere, con precisione, cosa ci sarà nel suo futuro. Il Rosso é però certo di cosa non vi farà parte. La carriera militare, fa parte di quell'elenco. Non l'ha ancora detto a suo padre, e non sarà certo il comandante Mage il primo a venirlo a sapere. Un sostegno psichiatrico, è la risposta a qualcosa che non funziona, ed il giovane non ritiene di avere problemi. É per questo che si dimostra riottoso a partecipare ad una terapia.


"Dovrei iniziare a violare le regole, per rassicurararla? O ad andare in infermeria per ogni mal di stomaco? Così entrerei nei suoi parametri."

"Lei é intelligente Shaw, non prendiamoci in giro. Voglio capire come aiutarla ad ambientarsi. Non può restare da solo per tre anni. Non crede?"

"Le posso fare una domanda, comandante?"

"Concesso."

"Se lei restasse chiuso in un ascensore con una ventina di persone, e non riuscisse a legare con nessuno, chiederebbe il sostegno di uno psicologo?"

"Qualche ora, non sono sei mesi."

"Ma il fatto che non riesca a relazionarmi con un numero ristretto di persone, in linea di principio, non è necessariamente indice di un mio problema."

"Lo sa vero, che potrei semplicemente limitarmi ad ordinarle di parlare con il nostro psicologo?"

"Certamente, confido nella sua comprensione, signore."

Il comandante si prende qualche attimo di silenzio. Incrocia le braccia al petto, soppesando con attenzione il giovane che ha davanti a sé. Dopo quasi un minuto, attira a sé l'Holodeck, iniziando a scrivere una correzione sulla scheda di Eddie.


"La sposto nella seconda classe, del suo anno, Shaw. Se non noterò cambiamenti nel prossimo mese, parlerà con il dottore, o si ritirerà dagli studi. Abbiamo un accordo?"

"Abbiamo un accordo."

"Molto bene, può andare. Mi chiami i due allievi che aspettano fuori dalla porta."

"Comandi."

Uscito dall'ufficio del comandante, le narici del Rosso vengono aggredite da una zaffata di fumo di sigaretta. Gli studenti non possono fumare all'interno della scuola. Per farlo davanti all'ufficio di un ufficiale, bisogna essere stupidi o volersi cercare i guai.


"Sisko! Mettila via! Sei già in punizione per un mese."

"Appunto, cosa vuoi che importi venire consegnata per un'altra settimana."

Almeno di nome, il giovane conosce tutti i suoi compagni di corso. In questo caso é agevolato. Ci sono poche coppie di fratelli, tra gli studenti. Una sola di gemelli, figli di un ammiraglio, ovvero quella che ha davanti. La ragazza, bionda, molto popolare e casinista, é sul filo dell'espulsione, per motivi disciplinari, fin dal secondo giorno. Il ragazzo, moro, è quasi la copia del Rosso. Taciturno e con ottimi voti. Le poche punizioni, dovute ai suoi tentativi di proteggere la sorella. Sylene e Saren Liljat.
Bisticciano per qualche altro secondo, prima di notare il Rosso che li sta fissando.


"Beh? Che cosa hai da guardare?"

"Niente. Siete buffi, visti assieme. Il comandante vuole che entriate."

Buffi. Il ragazzo sembra sul punto di aggredirlo, la bionda scoppia a ridere, avvicinandosi al futuro medico.


"Va bene, va bene. Andiamo. Questa me la puoi buttare tu, Rosso?"

 Guarda dapprima la sigaretta nella mano della bionda, e poi il resto del corridoio. Nessuno in vista, ed alla fine prende la cicca, mezza consumata.


"Sei gentile Roscetto. Andiamo fratello, prima che al comandante saltino i nervi, e chiami Mister Admiral a casa."

La ragazza, strafottente, entra nell'ufficio, tirandosi dietro il fratello. Quest'ultimo, prima di sparire dietro la porta, lancia ad Eddie un'ultima occhiata poco amichevole. Rimasto solo, con una sigaretta in mano, il giovane guarda ancora per qualche attimo l'ufficio dentro cui sono scomparsi i gemelli Liljat. Dopodiché inizierà ad allontanarsi, cercando un cestino dove buttare la cicca.


"Decisamente molto buffi."

Di lì a tre settimane, in loro compagnia uscirà per la prima libera uscita. I primi giorni di consegna, per essere stato trovato fuori dal letto in piena notte, si faranno attendere altri quindici giorni. Su una cosa, il comandante Mage aveva ragione, la vita del collegio affrontata in compania risultò molto più semplice.











lunedì 26 maggio 2014

Quella del pranzo mensile a casa con i propri genitori, é una tradizione a cui il Rosso non é mai riuscito a sottrarsi. Inaugurata in seguito alla suo ingresso al Collegio Militare Lee, e proseguita durante gli anni universitari su Horyzon. Nel primo caso, erano sua madre e suo padre a raggiungerlo, il collegio permetteva poche licenze per i cadetti, in seguito é sempre toccato al medico, tornare su New London. Ovviamente, il suo ingresso nel mondo del lavoro non ha cambiato minimamente le cose.


"Non ti ho mai visto mangiare con tanto appetito, é una sorpresa"

Gabrielle Shaw, é una donna minuta, dalla corporatura esile. Sfiora appena il metro e sessanta, per una cinquantina scarsa di chili. Carnagione chiara, viso tondo e lunghi capelli, solitamente stretti da rigidi chignon, ancora completamente corvini, nonostante abbia già sessantadue anni.


"Non ha mangiato con appetito. Ha soltanto vuotato il piatto."

Steven Shaw, ha sentito il bisogno di mettere in chiaro qualcosa che sua moglie aveva fatto finta di non notare. Mettendo, uno di fianco all'altro, i due maschi della famiglia Shaw, la parentela é lampante. Figura alta e slanciata per entrambi, sebbene la struttura fisica del medico sia un poco più esile. Medesimo colore dei capelli, sebbene quelli di suo padre siano ormai ingrigiti e meno folti. Il viso di Steven é privo di lentiggini ed ha lineamenti meno sottili, ma gli occhi sono uguali. Azzurri, e solitamente freddi, raramente capaci di trasmettere qualcosa. Come ogni giorno della sua vita dai diciotto anni in avanti, escluse le domeniche, la divisa da ufficiale della Terza Flotta.

Il Rosso ascolta lo scambio di vedute tra i due in silenzio. Ha effettivamente fatto onore al pranzo, in tre portate, preparato per l'occasione da sua madre in prima persona ma, sforzandosi di non farlo notare, si é semplicemente imposto di mangiare tutto, contravvenendo alla sua cronica mancanza di appetito. Continua a dormire poco, e male, senza un brusco cambio di dieta rischierebbe di assomigliare ad uno spaventapasseri. Osserva gli ultimi bocconi di carne, forse vera, che però gli risultano graditi quanto dei bulloni.


"Ad ogni modo, tesoro. Perché non ci hai detto che saresti apparso alla HoloTv? Ti abbiamo visto per caso, e giusto perché tuo padre segue sempre il Saturday Live Sport"

Ovvero il celebre programma sportivo, cancellato per permettere la trasmissione dello speciale di "The Eye".
Quella particolare domanda, gli é stata già rivolta più di una volta, da altre persone, in svariati modi. A tutti, ha risposto nello stesso modo.


"Perché ho saputo che sarei andato in onda, circa venti minuti prima di essere inquadrato. Non ho avuto il tempo per avvisare nessuno"

Ad onor del vero, non ne ha avvertito il bisogno, neanche in seguito. Rinuncia a finire di mangiare, e va a posare ordinatamente le posate sul piatto. In pochi secondi, verrà portato via da Miss Ling. "Ereditata" da Steven alla morte di suo padre, Benjamin, ha svolto infinite mansioni in casa Shaw. Cameriera, aiuto cuoca, bambinaia e quant'altro. In un Holofilm sarebbe ormai diventata parte della famiglia, ma questa é la vita vera.


"Più che altro, non ci avevi detto che ti avessero assunto in una agenzia di stampa"


"Non mi hanno assunto papà, sono in prova. Mi é parso superfluo parlarne."

Seguono svariati secondi di silenzio, interrotti soltanto dal tintinnare delle posate contro i piatti. Come spesso capita, é Gabrielle a cercare di ravvivare la conversazione. Quando padre e figlio pranzano da soli, non vanno molto oltre i semplici saluti iniziali. La cosa non è mai pesata a nessuno dei due.


"Però non hai una bella cera, tesoro. Sei un po' abbronzato, quello é vero, ma mi sembri stanco. Non dormi?"

Due paia di occhi lo fissano, mentre formula la sua risposta, ed il Rosso applica una delle lezioni più elementari per chi voglia ingannare il prossimo. Unire una mezza bugia, ad una piccola parte di verità.


"Dormo poco, il lavoro é abbastanza frenetico, e come vi ho detto sono in prova, devo pur dargli motivi per assumermi, no?"

Nessun ulteriore commento a riguardo, e solo un'occhiata un poco più prolungata da suo padre. Esame superato.


"Ad ogni modo, sei stato molto bravo. Ne ho parlato con tutte le mie amiche"


"Francamente, tu ed il conduttore avreste dovuto moderare i termini. Eravate un poco troppo lusinghieri con quel criminale. Non pensi anche tu?"

Paradossalmente, essere l'oggetto delle conversazioni tra sua madre e le proprie amiche lo terrorizza più dell'obiezione, fin troppo pertinente, che gli viene rivolta da suo padre.


"É complicato da spiegare"

Si limita a rispondere così, scrollando le spalle, sperando di evitare ulteriori interrogatori. Il suo desiderio viene esaudito in parte. É solo l'argomento della conversazione a cambiare, non il tono inquisitorio con cui viene portata avanti.


"Capisco. Ma é un lavoro serio? Ora che ci penso, non ci hai mai detto perché non é andata bene in Blue Sun"


"Perché la Ceo, era una stronza, papà"

Le volgarità non sono frequenti, od accettate, in casa Shaw. Per la sorpresa a Gabrielle cade una forchetta a terra.


"Credo di non aver capito"


"Perché la Ceo si é comportata come una stronza"


"Edward!"

In coro, da parte di entrambi.


"Perché io e la Ceo la vedevamo diversamente su alcune questioni e, per quel che vale, forse al posto suo mi sarei comportato nello stesso modo. Va meglio così?"


"Non mi piace questo tuo atteggiamento. Non so quali problemi tu possa aver avuto, ma dovresti parlarne con più rispetto"


"Se la Blue Sun ti piace così tanto, papà, potresti chiedere un impiego dopo il congedo. Magari potrebbero assumerti come collaudatore"

Il tono di voce del medico si é fatto palesemente sarcastico. Steven si sta mordendo il labbro, gesto premonitore di un irritazione crescente. Ed é per scongiurare il peggio, che Gabrielle si mette in mezzo.


"Tra l'altro, sai che ti ho visto l'altro giorno? Pensavo che saresti arrivato direttamente oggi, con il primo volo."


"Mmh? Di cosa stai parlando? Io sono arrivato questa mattina."


"Ne sei sicuro? Non eri in quella cioccolateria in centro?"


"Onestamente, ti sembra credibile che io frequenti una cioccolateria?"


"Tu da solo no. Ma c'era anche una donna. Capelli scuri, vestita di bianco.. Era una tua compagna al collegio? L'ho vista di sfuggita, ma mi era sembrato un volto familiare"


"Non so chi tu abbia visto, ma io non c'ero"


"Davvero?"


"Davvero."

Una delle illusioni dell'infanzia, che il Rosso si é lasciato alle spalle per prima, è stata la convinzione che i propri genitori, potessero leggergli in volto ogni menzogna.


"Vorrà dire che mi sono sbagliata. Ad ogni modo, diamo un ballo di beneficenza il mese prossimo..."


"Non mi chiedere di accompagnare la figlia di una delle tue amiche. Avevamo un accordo. Al massimo una volta all'anno, e l'ho già onorato."


"Se invitassi tu qualcuna, non correresti questo rischio. Hai qualche nome in mente?"

Un nome lo avrebbe anche, e la sua presenza ad un ballo elegante, gli strappa il primo accenno di sorriso, in tutta la serata.


"Non contare su di me, per quella serata."


Può capitare che una coppia a lungo sposata, riesca a comunicare senza andare oltre un semplice sguardo. Steven richiama l'attenzione della moglie con un colpo di tosse, e non ha bisogno di aprire bocca. "Gli devo parlare, da solo."
Può inoltre capitare che un figlio, dotato di un minimo di intuito, riesca a comprendere questo linguaggio segreto.


"Immagino che tu debba andare a preparare il caffè, vero mamma?"

Nessuna replica diretta da parte di entrambi, la donna si alza e gli si avvicina. Una mano gli tocca la nuca, le labbra si posano sulla fronte. Un tempo gli dava così il bacio della buonanotte. Crescendo, é diventato il suo saluto tipico.


"Fate i bravi, mentre non ci sono."

Un ultimo saluto, prima di lasciare padre e figlio da soli. Due paia di occhi della stessa tonalità di azzurro, ed altrettanto freddi, che si studiano dai due lati di un tavolo. Sfidarsi a chi, per primo, vada a spezzare il silenzio, é un gioco che portano avanti dall'adolescenza. Questa volta, Steven capitola sospettosamente in fretta.


"Ho incontrato l'ammiraglio Liljat, l'altro giorno."


"Prestate servizio insieme da trent'anni. Sarebbe strano il contrario"

Steven riprende come se non avesse minimamente sentito, le parole di suo figlio.


"Mi ha molto sorpreso, sapere che in tutto questo tempo, tu non ti sia fatto vivo di persona, per porgergli le condoglianze."

Tradotto dallo Shaw, all'inglese. "Il tuo é un comportamento inaccettabile".


"Non é salutare che io incontri l'ammiraglio"


"E perché mai?"


"Perché nel migliore dai casi, si é finalmente reso conto di come, negli ultimi venticinque anni, sia stato un borioso pallone gonfiato.."


"Non devi..."

Questa volta é il medico, a non permettere all'altro di proseguire.


"E nel peggiore é sollevato perché nessuno dei due metterà più in imbarazzo la sua preziosa reputazione."

"Non puoi dire una cosa del genere. Né capire cosa possa provare un padre perdendo i suoi figli. Non fino a quando non avrai una tua famiglia."


"Sono tutte stronzate, papà"

La violenta manata con cui l'uomo colpisce il tavolo, facendo cadere uno dei bicchieri, ha il potere di zittire il medico per lo stupore, ma non riesce a riportarlo a più miti consigli.


"Capisco il tuo dolore Edward, ma devi fare qualcosa per questa rabbia. Non serve a nulla."


"Non eri tu, quello che cercava di farmi capire come le cose utili, non siano necessariamente le migliori?"

Sentire il figlio, citare le proprie parole, e farlo per rigirargliele contro, indispettisce Steven, al punto di incrinare la sua maschera pacata. Quella che il Rosso, durante l'infanzia ha imparato ad imitare. Inconsciamente o meno.


"Mi vuoi dire che la rabbia è quanto di meglio tu possa chiedere?"

"No. E' soltanto il male minore."

"Non ti capisco, Edward."

Il Rosso si prende qualche attimo per studiare l'uomo che ha davanti. Al di là del semplice aspetto esteriore, hanno alcuni lati caratteriali in comune. Molti a dire il vero. Probabilmente troppi per riuscire ad instaurare un rapporto profondo. O per volerlo.


"É mai successo che uno dei due, sia riuscito a comprendere davvero l'altro?"

Suo padre non gli risponde di primo acchito, e nemmeno lo fa nei secondi successivi. Abbassa di poco il capo, impedendo al Rosso di capire se si senta ferito, o gli stia semplicemente dando ragione.

"Credo che sia ora che tu vada, Edward."

"Lo credo anche io."














sabato 24 maggio 2014

L'appartamento di Eddie, a Capital City, é stato un regalo da parte dei suoi genitori, per gli anni dell'Università. Rispecchia perfettamente il suo carattere riservato ed introverso. Chiunque ci metta piede, con ogni probabilità, difficilmente potrà farsi un'idea precisa sui gusti, o sulle abitudini del padrone di casa.

Le pareti sono color crema. Un lascito del precedente inquilino, che il Rosso ha deciso di fare proprio. Ha acquistato mobili dal design moderno e linee essenziali. Nulla di eccessivamente vistoso ma soprattutto, per un capriccio del medico, nessun colore che si discosti dalle sfumature del bianco, o del nero.

Seppure siano presenti oggetti meramente ornamentali, e quindi privi di una reale utilità, é difficile trovare qualcosa che possa essere definito "personale". Le uniche eccezioni sono: una piccola collezione di libri cartacei, cinque o sei, prettamente di argomento scientifico e tre cornici in argento da cui sono state però tolte le foto in esse contenute.
Una dimora arredata con un certo gusto, ma in un certo senso simile ad una stanza di albergo. Priva dell'immagine del suo propietario, nonostante sia lo stesso da anni.
L'unico elemento, che stona completamente, con questo quadro, é un sacco da pugile. Comprato di recente, ed appeso al muro tramite una placca di metallo, fissata con dei bulloni.

Eddie é seduto alla sua scrivania, e da qualche ora armeggia con il proprio Holodek. Per terra, i cocci di una tazza, la bevanda in esso contenuta, probabilmente caffè, macchia le mattonelle del pavimento, senza che il giovane vi presti la minima attenzione. Gli occhi fissi sulle immagini proiettate dal Deck. I corpi di due persone, in ginocchio ed a torso nudo. Le mani congiunte in un gesto di preghiera ma, soprattutto due ampie porzioni della pelle della schiena tagliate via, quasi del tutto e poi sollevate da alcuni capi. Le, macabre, ali, di quelli che dovrebbero essere due angeli.

Quella scena é così impressa a fuoco nella sua memoria, da essere riuscito a ritrarla fedelmente sul proprio taccuino. Fino ad ora, si era focalizzato sui dettagli anatomici dei due corpi, ignorando totalmente lo sfondo. Cercare di capire dove potessero essere segregate le due vittime, non era compito suo. Ovviamente, quando la mano del loro aguzzino si é abbattuta su una sua conoscenza, le priorità del medico sono cambiate.
Continua a lavorare sulla fotografia, proiettata sullo schermo, ingrandendo diverse porzioni dell'immagine, una dopo l'altra, alla ricerca di qualche dettaglio sfuggitogli fino a quel momento. L'Holodeck del medico, non é un modello con elevate prestazioni grafiche, e Eddie non ha le competenze necessarie per un lavoro preciso. Infatti ben tre volte, dopo aver richiesto al terminale un ulteriore ingrandimento, l'immagine si é sgranata del tutto. La prima volta si é limitato ad imprecare, tamburellando nervosamente con i polpastrelli sulla scrivania. La seconda ha scagliato a terra la tazza di caffè. La reazione al terzo fallimento consecutivo, é una violenta esplosione di collera. La prima tentazione, é quella colpire il Deck, vanificando così la possibilità di trovare qualsiasi tipo di indizio. É solo un ultimo barlume di razionalità, a farlo indietreggiare di scatto, sfruttando le rotelle della sedia.
Quando si alza entrambe le mani sono già chiuse a pugno ed é la sfortuna, il fato o semplicemente il Caos, a fargli compiere un ulteriore passo indietro, urtando così il proprio cane, un Husky di circa un anno a cui, la scarsa fantasia del medico gli ha imposto come nome Tallio. Lo trova nel posto sbagliato, nel momento peggiore.


"Maledizione. Sei sempre in mezzo ai coglioni"

Non aveva realmente intenzione di picchiarlo, od almeno, sarà questa la convinzione che prenderà forma nella sua mente durante le ore successive. Non é del tutto una menzogna, probabilmente, ma alza comunque di scatto la gamba destra e, con il collo del piede, colpisce il cane su un fianco
Tallio guaisce, senza abbaiare. Scarta di lato, graffiando le mattonelle del pavimento con le unghie e cercando di scappare nella camera da letto. Il medico é quasi sul punto di seguirlo, quando viene distratto dal miagolio spaventato di Tac, il gatto di Jordan, momentaneo inquilino della casa. Vedere il micio lo porta a pensare alla sua padrona, appena tornata e subito sparita via e, di riflesso, anche ad altre due persone, che ritorno non potranno mai più farlo. Il rapimento della reporter, é stata l'ultima goccia. Quella che ha frantumato il vaso.

Stringe i pugni così forte da trovare, più tardi, i segni delle unghie sui palmi. Sente il bisogno, impellente di colpire qualcosa, e per questo si muove, quasi a passo di carica, verso il sacco appeso al muro. Il primo pugno lo scuote, il secondo lo fa dondolare più vistosamente. Ne seguono subito altri quattro, il medico tira di destro e di sinistro, senza che però la bestia, che gli alberga nella testa, riesca a trovare un boccone di suo gusto.
Arriva quasi a gridare, scostando il sacco e proseguendo verso il muro. Lo schiocco delle nocche contro di esso era quello di cui aveva bisogno. Si rende conto delle macchie di sangue, che sporcano la tinta color crema, solo quando l'insistente vibrazione del Cortex, fa affiorare la sua coscienza dal cieco furore. Lo recupera frettolosamente, ha il fiato corto e nemmeno si rende conto della fitta dolorosa che gli risale lungo il gomito, quando preme i tasti che richiamano alla vista la comunicazione appena ricevuta.
Ha circa mezz'ora, per raggiungere gli studi dove avverrà la registrazione del programma The Eye e prima dovrà fare qualcosa per la mano. Sarà probabilmente già gonfia quando, davanti ad una telecamera per la prima volta, contribuirà a placare la fame di attenzione mediatica del Killer. Il riscatto richiesto per la vita di Virginie. Od almeno, é quella la speranza comune.

I can't escape this hell
So many times I've tried
But I'm still caged inside
Somebody get me through this nightmare
I can't control myself
So what if you can see the darkest side of me?
No one would ever change this animal I have become
And help me believe it's not the real me
Somebody help me tame this animal
I can't escape myself
So many times I've lied
But there's still rage inside
Somebody get me through this nightmare
I can't control myself

giovedì 22 maggio 2014

Il risveglio non è mai stato un momento facile per il medico. Fin da bambino. Le cose sono  poi peggiorate quando una volta cresciuto, ha iniziato ad assumere grandi quantità di caffè, diventando praticamente incapace di formulare una frase di senso compiuto, superiore alle dieci parole, prima di averne bevuto almeno una tazza. 
Per riattivare i propri, pigri, ingraggi mentali, ai tempi dell'Università, è stato costretto ad escogitare un trucco. Una sorta di autointerrogazione. Domande su chimica, fisica e quant'altro. Col passare del tempo ha arricchito questo giochetto, impersonando i propri professori.

Riapre gli occhi a fatica. Bruciano, come se qualcuno vi avesse lanciato contro una manciata di sabbia. Non lacrima, ma ha bisogno di un paio di minuti, prima di riuscire a tenerli per un lasso di tempo superiore ad una frazione di secondo. E' a casa sua, ed il letto, oltre a lui, è vuoto. Si mette seduto con cautela, cercando di non far destare l'abituale emicrania, con movimenti eccessivamente bruschi. L'occhio gli cade sulla sveglia sul comodino. Sono le 2 e 25 di notte. Un sospiro sconsolato gli sfugge alle labbra, mentre nasconde il volto tra le mani. 


"Edward Shaw, così non va affatto bene. Non ho sempre detto che bisogna presentarsi freschi e ben riposati nelle aule? Coraggio, sono convinto che un poco di matematica pura possa essere di aiuto, quest'oggi."

Ha seguito i corsi del professor Tennant, durante la specializzazione in chirurgia. Medico dalla riconosciuta bravura, ha salvato abbastanza uomini e donne sul fronte, da ripopolare un'intera città, con i loro figli. Come molti uomini di talento, le sue abilità sono compensate da un carattere detestabile. Riciclatosi, in tempo di pace, come insegnante universitario, ha sempre mostrato un disprezzo tale per i propri allievi, da essere superato solo per quello rivolto a se stesso. 
Tra le sue cattive abitudini riconosciute: l'amore per il Bourbon, di cui si serviva copiosamente anche durante le lezioni, e l'abitudine di chiamare i suoi allievi maschi, con nome e cognome completo, e le donne con vezzeggiativi e nomi di dolciumi. Lungi da qualunque tipo di discriminazione, dileggiava chiunque, a prescindere dal sesso.

Ligio alla "richiesta", il giovane richiama alla memoria il testo di diverse equazioni. Alcune di cui ricorda la soluzione, altre che risolve al momento. Il calcolo a mente gli è sempre risultato facile. Dopo la quinta, inizia davvero a svegliarsi.

"Mi dica Edward Shaw. Si può dire una persona felice?"

La domanda, decisamente fuori dall'ordinario, oltre a risultargli decisamente familiare, lo soprende. Come un apprendista stregone, deve prendere atto di come la sua creatura gli sia sfuggita di mano.

"Andiamo, non è da lei esitare. A quel bon-bon di Miss Saintesimon, non ha forse risposto immediatamente?"

Lo consola riflettere su come, effettivamente, non stia parlando da solo. Di fatto, sta semplicemente pensando da solo. Flebile rassicurazione. 
Ad ogni modo, sta conversando con un suo vecchio professore, morto da due anni tra l'altro, con una nuova notte da far passare, senza la speranza di un poco di riposo. La risposta al quesito postogli è abbastanza evidente. Distrattamente, allunga una mano verso il comodino, da cui recupera un taccuino blu.
Sfoglia qualche pagina, fino a trovare quella desiderata, su cui campeggia il realistico ritratto, fatto a penna, delle due ultime vittime del Killer dell'Apocalisse.

"Prenderò il suo silenzio come una risposta negativa. Cambiando argomento, cosa può dire di lei, o del suo stato mentale, il fatto che sfugga alla constatazione dei suoi problemi, per rifuggiarsi nella morte altrui?"

"Ho condiviso la cambusa con qualcuno condannato per strage planetaria. Immagino che, per coerenza, non possa essere toccato per un numero di vittime inferiore a cento."

"Ma guarda, a qualcuno è tornata la voglia di scherzare. Non le ho sempre ribadito come la sua inclinazione al sarcasmo, faccia di lei un pessimo medico? D'altra parte, ha toccato un argomento interessante, conosce quel particolare disturbo che porta una persona a socializzare prima, e difendere dopo, i propri sequestratori?"

"Sindrome di..."

"Oh non serve che faccia sfoggio della sua memoria. Tra l'altro con ogni probabilità si tratta di una patologia che presto prenderà il suo nome. La sindrome di Shaw. Credo che se lo sia meritato dopotutto, è un problema con cui va, letteralmente, a letto"

"Credevo di aver capito che l'inclinazione al sarcasmo fosse qualcosa di sbagliato"

"Touché. Parliamo d'altro allora. Cosa mi vuol dire di questa sua nuova scelta lavorativa? Il giornalismo. Dicono che abbia potenzialità."

"Virginie è troppo gentile. E comunque non è l'Editor"

"Miss Saintesimon è troppo gentile. Miss Chernenko è stranamente sempre allegra. Miss Chung eccessivamente solare. Il caporale Mackindley altruistica in maniera sospetta. E mi fermo qui, tanto per non andare troppo indietro nel tempo. Mi dica, Edward Shaw, non è possibile che sia lei, se mi passa il termine, ad essere troppo cagacazzi?"

"E' possibile. Ma è un dettaglio che non esclude gli altri. Mi hanno comunque detto che non sono un sociopatico"

"Non ritiene che, forse, l'adorabile Miss Blackwood abbia commesso un errore? O forse le ha semplicemente detto quel che aveva bisogno di sentire"

"Rimarremo col dubbio. Non credo che la disturberò su Corona per una cosa del genere."

"Forse sarebbe il caso invece. Le ha parlato dopo che i suoi amici.."

"Basta così."

"Che brutto carattere. Le ho detto mai detto quanti punti in comune abbiamo noi due?"

"Alla fine dei corsi. Non ho mai capito se fosse un complimento riluttante, o l'ultimo dei suoi insulti."

"Ovviamente l'ipotesi corretta è la seconda"

"Credo che la annegherò in un litro di caffè"

"Mentre aspetta che sia pronto, potrebbe elencarmi tutte le ossa che compogono una mano. Magari in ordine alfabetico. Al contrario tanto per rendere la cosa interessante. In alternativa, potrebbe semplicemente riaprire gli occhi".

Il Rosso apre gli occhi.La sveglia segna le 2 e 36. Il taccuino è ancora sul comodino da cui non è stato mai spostato. La conversazione con il professore, un semplice sogno lucido perso nel limbo del dormiveglia. E' stanco morto, ma ha perso l'occasione per riprendere sonno.

"Merda."





mercoledì 21 maggio 2014

Ci sono le notti, sempre più rare ad onor del vero, in cui tutto va bene. Riesce a rubacchiare almeno tre o quattro ore di sonno ed al risveglio, di conseguenza, il mal di testa è accettabile e gli occhi bruciano solo leggermente. L'altra faccia della medaglia sono quelle notti in cui si assopisce per poco. Troppo poco per essere riposato, ma sufficiente per causare la ribellione del suo corpo a quella veglia prematura. L'emicrania, per i primi minuti, è tanto forte da impedirgli di aprire gli occhi. Una fortuna, dopotutto, perchè quando poi vi riesce, anche la più piccola fonte di luce li aggredisce così violentemente da farli lacrimare.

Troppo stanco per, anche solo pensare, ad un qualsiasi tipo di attività fisica seria. Troppo nervoso per continuare a rigirarsi nelle lenzuola fino al sorgere del sol. Gli resta poco da fare, se non infilarsi qualche vestito, e concedersi una lunga passeggiata notturna. 


A tutti, è successo almeno una volta, di camminare sovrappensiero, ed accorgersi solo in un secondo momento di quale percorso si sia preso. Il medico, sembra essere andato oltre, quel particolare tipo di astrazione.


"Misthar Shaw?"

Basta quel singolare saluto, per fargli capire dove si trova. Da Sonny, un localetto vicino ad uno dei parchi dei sobborghi. Il proprietario, Sonny ovviamente, è un trentenne dai lineamenti chiaramente orientali. Capelli neri e sottili, vestito con una maglia bianca ed un paio di pantaloni candidi. E' cosi simile allo stereotipo di un ristoratore cinese, da sembrare la caricatura di un personaggio, tratto da un vecchio Holofilm.
Il Rosso sbatte più volte gli occhi, prima di guardarsi attorno. Il locale è come al solito quasi vuoto. Lo è sempre a quell'ora. Lui al bancone, forse altre due o tre persone divise nella restante mezza dozzina di tavoli. Come facesse Sonny a vivere con quei pochi introiti, non l'ha mai capito.

"Misthar Shaw?"

Richiama nuovamente la sua attenzione, con quella particolare cadenza, o difetto di pronuncia, che lo porta ad aspirare la conclusione di quasi ogni parola. Stranamente, non accade quando ripete nomi di battesimo, o cognomi. Il Rosso non si ricorda quando abbia messo piede nel locale, ne da quanto tempo sia seduto. Fortunatamente l'uomo è solito rivolgerli la parola solo in due modi. "Le posso portare il piatto Misthar Shaw?", oppure "Vuole ancora qualcosa, prima che chiuda la cucina Misthar Shaw?". Il secondo è un modo garbato per fargli capire come l'ora di chiusura sia prossima, e lo voglia fuori dai piedi.Non ha il C-pad con se, e gli toccherà affidarsi a Sonny, per comprendere se sia appena arrivato, o meno.

"Le posso portare altro, prima che chiuda la cucina?"

Colto alla sprovvista, il medico annaspa, cercando di rammentare che cosa possa avere consumato. Qualche secondo di vuoto, prima che rinunci a dissotterrare quel particolare ricordo. Se avesse solo un briciolo in meno di fiducia, nelle sue facoltà mentali, quei rari black out lo preoccuperebbero. Forse lo preoccupano comunque.

"Scusa Sonny hai ragione. Mi sono.. distratto. Beh, quanto ti devo per il disturbo?"

Non aspetta direttamente una risposta, limitandosi ad allungargli trenta dollari. Studia con attenzione il resto che gli viene restituito, senza fare obiezioni. Una volta si è stupito, quando gli è stato presentato il conto per cinque piatti di spiedini di carne. La nausea che lo ha colto, nelle settantadue ore successive, ogni qual volta sentisse ore di cibo, gli ha poi confermato l'onestà di Sonny. Da allora, paga sempre senza chiedere nulla. Gli vengono restituti quindici dollari, e si concede un piccolo sospiro di sollievo. 

"Si sente bene, Misthar Shaw?"

Una piccola deviazione, dal solito copione. Per la prima volta l'uomo sembra notare le occhiaie del medico, gli occhi arrossati, o l'espressione stanca che ha sul volto, quando pensa di non aver lo sguardo di qualcuno, su di se.

"No Sonny. Non sto bene. Da mesi non dormo bene, e nelle ultime settimane non dormo affatto. Se le cose non miglioreranno in fretta, e per fretta intenendo già da ieri, le uniche prospettive che vedo davanti a me sono: la prigione, perchè avrò combinato qualcosa durante uno scatto d'ira, una camicia di forza in un manicomio, perchè avrò perso il senno od una pistola puntata alla tempia. Probabilmente l'ultima sarà soluzione migliore per scappare alla prima, od alla seconda ipotesi."

Il povero ristoratore, praticamente sbianca davanti a quella che, sicuramente, è la conversazione  più lunga, avuta con il Rosso. E' forse anche un poco infastidito, per essere stato sommerso dai suoi problemi, dopo una domanda cortese, alla cui risposta non era realmente interessato e a cui, ora, non sa come rispondere. Eddie se ne accorge,e per questo distende le labbra in un sorriso un poco tirato, ma comunque divertito.

"Tranquillo Sonny. Con degli amici vorremmo, per gioco, partecipare a dei provini per un Holofilm. Ti ho recitato un pezzo del copione. Cosa  ne pensi?"

E' troppo stanco per essere pienamente convincente. Forse riesce ad instigare un dubbio in Sonny, o magari l'orientale vuole solo vederlo uscire in fretta, di certo si fa immediamente più tranquillo.

"Bravo Misthar Shaw, è molto bravo."

Il giovane lo osserva, per una manciata di secondi, con quell'espressione indecifrabile che è il tormento di molti dei suoi conoscenti. Alla fine, si limita a sbuffare scuotendo il capo.

"Già Sonny. Sono molto bravo. Buonanotte."

Un vago cenno di saluto con il capo, prima di scivolare rapidamente fuori dal locale. E' ancora notte fonda. Dovrà attendere ancora, prima che il sorgere del sole, renda meno pesante, il suo essere ancora sveglio.