domenica 1 giugno 2014

Il Rosso apre gli occhi non sorprendendosi, nel trovarli umidi di lacrime. Non ha ancora capito se dipenda da incubi, di cui comunque non serba ricordo, o dai risvegli troppo prematuri. Volta lentamente il capo, cercando di inquadrare la sveglia. Dapprima vede soltanto un'ombra rossa, sfocata. Impiega qualche secondo, prima di riuscire a leggere l'ora. Le quattro e mezza del mattino. Ha dormito meno di un'ora. Per amor di precisione, sono passati cinquantasette minuti, dall'ultima volta in cui ha guardato la sveglia.
Avverte con qualche attimo di ritardo il peso del familiare fagotto biondo che gli dorme addosso. Gli ha appoggiato un braccio, ornato da un braccialetto d'argento, contro il petto, e la punta del suo naso gli accarezza la spalla. Normalmente è una sensazione che lo rasserena, altre volte, e quella notte gli capita proprio quello, gelosia ed invidia lo pungono come degli insetti molesti. Perché soltanto a lui, è negato il piacere di una notte di riposo?.
Dopo un lungo sospiro, resiste alla tentazione infantile di svegliarla. Le prende il polso tra le dita, delicatamente, e dopo averlo alzato, scivola fuori dalla sua presa. La testa di Jordan ha ora un cuscino, come unico sostegno, ma non sembra rendersi conto del cambiamento. Il suo sonno profondo, e per una volta sereno, è un nuovo morso, tanto doloroso, quanto l'immediato senso di colpa. Quello che gli succede, non lo può certo imputare a lei.
Una volta alzato, si china verso di lei, sistemandole una ciocca bionda dietro l'orecchio, in un gesto che sfocia in una mezza carezza. In risposta, ottiene un mugugno dolce, simile a delle fusa.
Sgattaiola via dalla camera da letto in silenzio, muovendosi in punta di piedi e chiudendo la porta dietro di se. Senso di colpa o meno, il nervosismo gli scorre sottopelle, mentre si guarda attorno alla ricerca di qualcosa da fare. Una doccia lo calmerebbe, ma con ogni probabilità sveglierebbe Jordan. Le guance sono macchiate da un'ombra rossiccia di barba, ma tagliandosela farebbe comunque troppo rumore. Gira come un'anima in pena per il salotto, fino a quando la sua mente stanca non si sofferma sull'opzione più facilmente percorribile. Si cambia lì, direttamente in salotto, recuperando dall'armadio un paio di pantaloncini neri, e la felpa rossa del collegio, che non indossa da diversi mesi. Calza delle scarpe sportive, seduto per terra, vicino alla cesta in vimini dove riposa Tallio, una volta allacciate, accarezza la testa al cane. Da quando lo ha colpito, durante uno scatto d'ira, si é comportato come un padre che cerca di ricomprare l'affetto del proprio bambino. Coccole, moine e regali. Senza raccogliere il minimo risultato però, anche quella notte, l'huskey rimane sdraiato senza nemmeno alzare il muso.


"Ehi, vuoi venire fuori con me? Mmnh?"

Nessuna reazione, nemmeno un vago scodinzolare, od un basso guaito. Nulla. Viene nuovamente assalito, in egual misura da rancore e rimorso, ed è animato da quelle emozioni quando, una volta recuperate le chiavi, si fionda fuori di casa. Si trattiene a stento, da sbattersi la porta alle spalle.

Il Rosso abita da cinque anni a Capital City, ma ha iniziato a frequentare l'Unification Park soltanto di recente, per correre. All'inizio, cercava soltanto un modo per stancarsi abbastanza da essere costretto a dormire, l'esperimento non gli ha fatto guadagnare neanche un solo minuto di sonno, ma alla lunga, si è rivelato un metodo meno autolesionista dei pugni contro il muro, per sfogare il proprio nervosismo.
Il suo percorso preferito gira attorno ad uno dei due laghetti artificiali, ampio abbastanza per non annoiarlo, almeno all'inizio. Alla lunga, normalmente, si distrae, correndo meccanicamente e sovrappensiero.
Quella notte, il primo giro è lento, riscalda i muscoli cercando di non aggravare il mal di testa, costante, che gli pulsa contro la tempia.
Al secondo, allunga la falcata, l'andatura è meno contratta.
Quando affronta il terzo giro, il respiro è affannoso, le guance arrossate. Non sta più realmente correndo, pesta con i piedi sulla pista, come se avesse diavoli e demoni alle sue spalle. L'emicrania rimbomba, avverte una pugnalata alla milza ad ogni passo, ma non si ferma. Non ci sono altri mattinieri, o nottambuli, attorno a lui. Ha la pista tutta per se, e sembra intenzionato a correre fino a quando non stramazzerà a terra, come un cavallo zoppo.
Ed è proprio la fine che rischia di fare, il piede destro gli slitta e perde l'equilibrio per un attimo. Lo recupera all'ultimo facendo qualche altro passo, sgraziato come un volatile abbattuto da un cecchino, fino a quando non si ferma del tutto. Le gambe praticamente piantate  per terra, rigide per l'acido lattico. È curvo in avanti, non riesce a respirare soltanto con il naso, è per questo ha la bocca spalancata. Le mani che tremano, ed i crampi allo stomaco, gli ricordano la fiala di Dexepam che avrebbe dovuto bere, e che è ancora ad aspettarlo sul comodino.


"Non sono un medico, ma non hai un bell'aspetto, giovanotto."

La voce proviene da qualche parte alla sua destra. Non riesce ancora a muoversi, ed impiega qualche secondo, prima di riuscire ad inquadrare la persona che gli ha appena rivolto la parola. Settant'anni abbondanti, pochi ciuffi di capelli bianchi ai lati della testa, un volto tondo e simpatico, con le guance ed il naso rubizzi di chi abbia alzato il gomito spesso e volentieri. L'uomo è seduto su una panchina ed ha le mani appoggiate sul proprio bastone. Gli è vagamente familiare, non è la prima volta che lo incrocia al parco. Hanno gli stessi orari impossibili.


"Sto.. Sto bene. Non... Si preoccupi."



Il volto del Rosso è impallidito di colpo, facendo sparire le poche lentiggini e rendendo le occhiaie ancora più vistose. Ha le labbra secche, ma il respiro si sta facendo un poco meno affannoso.
Il vecchietto, scivola di lato sulla panca, tradendo un certo dolore alle ginocchia, facendogli cenno di accomodarsi. Il Rosso, valuta l'invito con attenzione, ed alla fine accetta. Si avvicina alla panca con le gambe ancora imballate, ma riesce a sedersi con un minimo di dignità, senza lasciarcisi cadere sopra. Appoggia le mani sulle ginocchia, così da rendere il tremore meno evidente.


"Ti vedo spesso gironzolare qui in giro, ma questa volta pensavo che saresti crollato a terra da un momento all'altro."

"Sto bene, grazie dell'interessamento."


È ancora un po' sfiatato, e non riesce ad imprimere nel tono di voce quella punta di fastidio, che gli causano le attenzioni del vecchio.

"Corri sempre così tardi. Quando la notte sta finendo, ma non è ancora giorno. Qualcuno le ha definite le ore in cui l'uomo è veramente da solo."


Il Rosso alza gli occhi al cielo. Chiacchierone, anziano e con propensione alla filosofia spicciola. Se non avesse due blocchi di cemento al posto delle gambe, e la sensazione, fondata, di non riuscire a mettere in fila più di un paio di passi senza dare di stomaco a causa degli effetti collaterali del suo up genetico, non placati dal Dexepam, se ne andrebbe, dopo aver smozzicato un saluto qualsiasi.


"Figliolo, a quest'ora bisognerebbe essere a casa, a letto con una bella ragazza. Che ci fai qui?"

"E lei invece? Come mai non segue il suo stesso, saggio, consiglio?"


La risposta gli esce più acida, e tagliente, di quanto non fosse nelle sue intenzioni. Il vecchietto, non ne viene minimamente toccato.


"Perché alla mia età il letto risulta sempre scomodo, e la mia bella ragazza è venuta a mancare quattro anni fa."

"Capisco."

"Credo che tu volessi dire condoglianze, non è vero?"

"Oh sì certo, condoglianze."


Gliele rivolge con qualche attimo di ritardo, piegando di poco il capo, e notando soltanto adesso, una fede dorata all'anulare sinistro.


"Invecchiando cala la vista, si perde qualche centimetro in altezza, si riduce l'intervallo tra una puntata e l'altra al gabinetto, ma soprattutto si dorme molto di meno. Tu sei un po' troppo giovane per avere problemi con il sonno."


Il Rosso non pare sorpreso dalla corretta intuizione del vecchio. L'ha sempre visto correre di notte, ed ha sul volto occhiaie che solo un cieco potrebbe non notare.


"Hai qualche problema per caso, figliolo?"


Il giovane arriccia la punta del naso, infastidito, prima di replicare.


"Perché me lo chiede? Le interessa davvero?"

"Sii gentile, manca ancora molto prima che sorga il sole. Due chiacchiere non hanno mai ucciso nessuno, no? Allora, che cosa ti turba?"

"Nulla, va tutto bene. Una mia amica ha avuto un problema.. Beh un problema serio, ma ne è uscita."

"Oh ottimo, ed allora che cosa ti tiene sveglio?"


Un lungo sospiro abbandona le labbra del Rosso, facendogli curvare la postura un poco di più.


"Quello che penso, è troppo egoista e sbagliato, anche per me."

"Perché non me ne parli, allora?"

"Come è morta, sua moglie?"

Si accorge di cosa ha domandato, e del tono di voce usato, troppo tardi. Il tatto di una mandria di bufali. La bionda, ancora addormentata, potrebbe forse gradire, il medico ha il buonsenso di vergognarsene un poco.


"Mi scusi, sono mortificato."


Il vecchio continua a guardare davanti a se, rendendo complicato al medico, capire se se la sia presa, o meno. Rimane in silenzio per qualche secondo, stringendo più forte il suo bastone.

"Un malanno al cuore, non l'abbiamo preso in tempo."

"La amava molto?"

"La amo ancora adesso, figliolo."


È questa volta il turno del Rosso di tacere. Labbra serrate ed il palmo della mano poggiato contro la bocca dello stomaco, ha un'altra domanda sulla punta della lingua, è evidente da come guarda di sottecchi il vecchio. Alla fine, dopo aver fatto trenta, si concede anche il trentuno.


"Se qualcun altro che conosce, od a cui è legato, fosse vittima della stessa malattia, ma riuscissero a curarla, cosa proverebbe? Sarebbe contento? Od infuriato perché a salvarsi è stata questa persona e non loro... Volevo dire e non sua moglie?"


Il vecchio si volta verso di lui, per la prima volta. Gli occhi verdi, arrossati come quelli del medico, lo osservano per una decina di secondi, resi opachi da quella che potrebbe essere tristezza. Alla fine gli posa una sulla spalla, forse alla ricerca di un appoggio per rialzarsi. Effettivamente si mette in piedi, a fatica, ma d'altra parte aveva il proprio bastone.


"Accetta un consiglio, da chi è invecchiato così tanto, da aver dovuto necessariamente accumulare un poco di saggezza. Nella vita accadono cose belle e cose brutte. Una persona furba non le misura. Tira avanti godendosi quello che ha, e ricordando con affetto, o gratitudine quello che non ha più. Non deve tenere tutto e calcolarlo come un avaro. Pensi di esserne capace?"

"Non lo so."


Il vecchio gli stringe affettuosamente la spalla, prima di usare nuovamente il suo bastone, come unico sostegno.


"Torna a casa ragazzo. Se hai una persona che ti aspetta, raggiungila. Altrimenti trovala. Spero che la prossima volta che ci rivedremo, sarà con il sole ben alto nel cielo"

"Mi chiamo Edward."

"Ed io William. Ora torna a casa ragazzo. È la scelta più saggia. Buon riposo".


Il vecchio si allontana lentamente, ogni passo ben cadenzato dal rintocco del bastone. Poco prima di sparire oltre un sentiero secondario, si volta verso il Rosso, salutandolo. Viene ricambiato.


"La scelta più sana."


Mormora a sua volta, prima di alzarsi dalla panchina, stiracchiarsi per qualche attimo, e riprendere a correre.










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